Dettagli Recensione
Nello specchio
«[…] Non aveva perso il senso dell’umorismo. Gli piaceva fare dell’ironia, a volte anche piuttosto pesante. Non era, in fondo, l’unico atteggiamento sensato nei confronti della stupidità della vita e delle persone?»
Avvicinarsi a un Geogers Simenon non Maigret è sempre un’esperienza unica e fortemente introspettiva. Tanti sono gli echi autobiografici che si respirano in queste opere e altrettanto numerose sono le riflessioni sulle figure femminili che da sempre affascinano l’autore. Non a caso, in molti suoi scritti non dedicati al celebre commissario, son proprio le donne a reggere le fila della narrazione con tutte le loro profondità e criticità. “La prigione” è un romanzo classe 1967 ed appartiene all’ultima produzione simenoniana. Approda in Italia nel 1968 per Mondadori, sparisce dai cataloghi e le librerie quasi subito e torna a vedere la luce grazie ad Adelphi che sta ripubblicando l’intera opera dell’autore. Lo scritto appartiene a una delle fasi più complesse della vita di Simenon, se in opere quali “L’orologiaio di Everton” o “Il fondo della bottiglia” l’autore doveva vedersela con la perdita del fratello e il senso di colpa attraversando un altro periodo nero della sua produzione, qui è costretto a fare i conti con la separazione dalla moglie Denyse Ouimet a seguito anche delle numerosissime e mai celate relazioni extraconiugali del marito.
Ne “La prigione” protagonista è Alain Poitaud di anni trentadue e di professione direttore del “Toi”, una rivista molto quotata da lui fondata. La moglie Jacqueline, soprannominata Micetta, è a sua volta giornalista ma freelance. Il soprannome deriva dal fatto che la donna ha un carattere molto mite e accondiscendente. Tra i due la relazione è basata sulla libertà, cene conviviali, appuntamenti di lavoro, scappatelle occasionali ed anche molti bicchieri di scotch o whisky. Alain spersonalizza le persone che incontra, nessuna ha un nome, sono tutte “cocco” o “bella mia” senza troppe distinzioni.
Quando la vicenda ha inizio è il 18 ottobre, Poitaud sta rientrando a casa, ha in programma una cena con gli amici e ad attenderlo trova un funzionario di polizia. La sua Micetta non è ancora rientrata. A prima vista viene a delinearsi un giallo atipico, sappiamo quasi subito che la donna ha prelevato la pistola del compagno per sparare alla sorella. Tuttavia, da subito, il lettore si accorge di trovarsi davanti a uno scritto ben diverso, non solo un giallo atipico ma anche un romanzo sociale e psicologico che scuote già a partire dalla caratterizzazione del personaggio principale. Alain fatica a suscitare empatia, ad entrare nelle grazie del conoscitore. È un uomo superficiale, borioso, anaempatico, forte bevitore e dedito a sminuire i legami e gli affetti. Simenon descrive il rapporto di coppia di una relazione alto-borghese con una vita piatta, vuota e vissuta tra parvenze e finta convivialità. Basti pensare che i due hanno un figlio di cinque anni che nelle pagine quasi non compare. Il conoscitore sa che esiste ma non lo incontra, quest’ultimo vive nella casa di campagna insieme ai domestici che lo crescono ed educano.
Pagina dopo pagina assisteremo a una trasformazione del protagonista e man mano che il romanzo prenderà forma ne intuiremo anche quella che è l’inevitabile declino finale. L’epilogo non sarà infatti felice.
«[…] Si vergognava. Era più forte di lui.»
Ed ecco allora che “La prigione” ci porta ad affrontare un viaggio totalmente introspettivo per mezzo di Alain, Micetta e tutti i personaggi che ne costellano lo svolgersi. Alain si rende conto che la sua vita non è altro che una menzogna, una costruzione perfetta di finzione e inutilità, un luogo dove indossare maschere su maschere sino a perdere se stesso. Anche scavando oltre quel personaggio che si è costruito, non sa più chi è.
Jacqueline, di contro, è una donna che ha sempre vissuto seguendo i canoni imposti e previsti dal marito, con carattere discreto e accondiscendente, ma da sempre odia la sorella con cui Alain ha anche avuto una relazione, seppur finita un anno prima al delitto. È questo ciò che fa pensare a un delitto passionale. Ella semplicemente decide di smetterla di vivere all’ombra di Alain, decide di vivere e non più nascondersi dietro una parvenza. Sa di aver contraddetto al marito e per questo si scusa anche per non essere stata la Micetta che lui desiderava.
Ma quanto possono reggere gli inganni? Quanto la maschera può durare? Quanto una vita di finzioni può andare avanti? Quando la miseria dell’animo può reggere alla verità? Non resta che un unico inevitabile epilogo.
Un Simenon cupo, duro, profondo, che nulla risparmia e che trattiene dalla prima all’ultima battuta.