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C'era due volte
 
C'era due volte 2024-06-27 12:32:09 La Lettrice Raffinata
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La Lettrice Raffinata Opinione inserita da La Lettrice Raffinata    27 Giugno, 2024
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Dove ti vedi tra 12 anni?

Durante la scorsa estate la trama decisamente contorta de "Il manoscritto" mi aveva fatto scoprire la prosa a dir poco incalzante di Thilliez, che un po' a sorpresa ha fatto finire questo titolo tra le migliori letture del 2023. Con l'anno nuovo avevo quindi tutta l'intenzione di continuare e magari concludere la trilogia ideale (ma non troppo!) di Caleb Traskman, quindi eccomi approdare a "C'era due volte". Un volume che forse non avrei dovuto aspettare tanti mesi prima di leggere: sono praticamente certa di essermi per questo persa un mucchio di easter eggs!

Eppure questa storia ruota attorno a personaggi del tutto diversi rispetto al romanzo precedente, e anche l'ambientazione iniziale ci porta in un altro angolo della Francia. Ci troviamo nella Valle dell'Arve nell'aprile del 2008, in particolare nella cittadina immaginaria di Sagas, dove il luogotenente della gendarmeria Gabriel Moscato si reca presso l'Hotel de la Falaise per cercare delle informazioni che lo aiutino in un'indagine per lui molto importante: quella sulla scomparsa della figlia adolescente Julie, avvenuta un mese prima. L'uomo si addormenta nella stanza numero 29 per poi risvegliarsi nella numero 7; la vera stranezza non sta però nel luogo bensì nel tempo, dal momento che siamo stati catapultati nel novembre del 2020. Gabriel ha però misteriosamente dimenticato gli ultimi dodici anni, e per questo si trova in un mondo completamente diverso da quello che ricorda e -nel tentativo di trovare una quadra- chiede l'aiuto del suo vecchio collega Paul Lacroix.

Loro sono ovviamente i due punti di vista tra i quali si alterna la narrazione, infatti li vediamo spesso indagare individualmente, ma penso diano il meglio quando collaborano mettendo insieme le forze. Per questo il rapporto insolito che vanno a creare -seppur nel poco tempo a disposizione- è uno dei punti di forza del libro; in generale ho trovato solida la loro caratterizzazione, con delle motivazioni e delle reazioni chiare e condivisibili, entro certi limiti.

Il ritmo sempre incalzante si conferma un grande pregio della prosa di Thilliez: rende quasi impossibile interrompere la lettura, anche per merito dei colpi di scena mai banali o troppo prevedibili che costellano l'intero volume. Queste rivelazioni sono inoltre illustrate in modo estremamente comprensibile, il che le rendere ancor più soddisfacenti a mio avviso. E per concludere questa carrellata di punti a favore non posso tralasciare l'espediente di base, ossia l'amnesia di cui è vittima Gabriel, che risulta un escamotage intelligente ed utile per fornire un gran numero di informazioni al lettore senza per questo ricorrere a spiegoni o flashback.

Nonostante questi elementi ed un inizio più che solido, il volume nel suo insieme mi ha convinto leggermente meno del precedente perché mettendoli a confronto ho individuato alcune mancanze. Ad esempio qui è del tutto assente una prospettiva femminile sulla vicenda: le personaggie presenti sono completamente accessorie, inoltre i due POV principali sono davvero simili tra loro e danno perciò ancor meno variatio alla prosa. Allo stesso tempo non mancano i piccoli difetti de "Il manoscritto", come una gran quantità di linee di dialogo troppo artefatte e retoriche per essere pronunciate in modo spontaneo.

Sono poi presenti diversi aspetti nell'indagine che ho trovato discutibili, come la presenza di molte quest minori fini a se stesse (come quella del video, che occupa parecchie pagine ma non porta a nulla) ed il fatto che i protagonisti trasformino mere supposizioni in dati di fatto, senza cercare delle prove o aspettare il risultato di un'analisi scientifica. Alcune delle loro scoperte sono inoltre così rilevanti che reputo assurdo siano state accantonate o giustificate da moventi ridicoli! il lato negativo del ritmo scelto è proprio quello di non dare il tempo necessario per metabolizzare tutte le informazioni. Ultimo piccolo neo: non ho apprezzato troppo il sillogismo tra arte disturbante ed artista o consumatore disturbato, perché sono convinta che l'apprezzamento del genere thriller non pregiudichi la capacità di distinguere la realtà dalla finzione.

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