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Un romanzo double face
Londra 1881, il giovane medico Simeon Lee è ossessionato dalla volontà di sconfiggere il colera, ma non riesce a ottenere dal suo istituto ospedaliero i necessari fondi per la ricerca. Allora accetta l’incarico che suo padre gli ha trovato: assistere un lontano parente, il reverendo Oliver Hawes che da alcuni giorni denuncia un progressivo peggioramento delle sue condizioni di salute. Simeon, perciò, si reca a Colchester, Contea dell’Essex, e da lì nell’isola di Ray un affioramento fangoso collegato alla terraferma solo da una strada che l’alta marea spesso sommerge rendendo pericoloso il percorrerla. Sull’isoletta, non di rado avvolta dalla gelida bruma del Mare del Nord, sorge solo la residenza del sacerdote, Turnglass House, un bizzarro edificio a due piani, sormontato da una banderuola fatta a clessidra di cristallo. Qui vivono solo padre Oliver e sua cognata Florence che il tribunale ha condannato alla reclusione domiciliare, come alternativa all’internamento in manicomio, per la brutale aggressione ai danni del marito a seguito della quale l’uomo era morto dopo una breve agonia.
Il sacerdote sospetta di essere stato avvelenato proprio da lei, anche se non sa in qual modo, visto che non si ciba che delle pietanze preparate dai due domestici anche per loro (ed essi godono di ottima salute) e la cognata da oltre due anni vive confinata in un’ala dell’edifico, una sorta di gabbia di vetro, senza poter aver alcun contatto con l’esterno.
Per il dottor Lee, inizia così una gara contro il tempo per scoprire le cause dell’infermità dello zio, ma anche per portare alla luce la storia passata della famiglia, misteriosa e inquietante; storia che potrebbe nascondere la motivazione, se non la causa, del male che sta uccidendo il sacerdote.
Los Angeles 1939, Ken Kourian è un giovane laureato a Boston che s’è trasferito in California nella speranza di sfondare nel cinema sonoro che sta avendo un enorme successo ovunque. Il caso gli farà conoscere Oliver Tooke, figlio del governatore dello Stato e scrittore di successo. Ne diviene amico e, con lui, passerà momenti piacevoli nella villa sull’oceano della famiglia; un bizzarro edificio a due piani interamente in vetro, sormontato da un segnavento a forma di clessidra di cristallo che è fronteggiato, in mezzo al mare, da una strana costruzione che l’amico chiama “torre dell’ispirazione”, ove si rifugia per lavorare ai suoi libri.
Questi momenti felici verranno brutalmente interrotti dalla morte violenta di Oliver. Ken, una notte in cui si trovava ospite a casa sua, lo ritroverà, ormai cadavere, nella torre dell’ispirazione, ucciso da un colpo di pistola alla testa.
Possibile che Oliver si sia davvero suicidato, come asserisce la polizia, proprio il giorno dopo l’uscita del suo ultimo, atteso romanzo, “Turnglass House”? Ken, lo ha visto sulla barca che si dirigeva alla torre assieme a un’altra persona; ma il secondo uomo non si trova da nessuna parte e non c’è nessuno a confermare la sua versione.
Assillato dai dubbi, inizierà a indagare assieme alla sorella del morto, Coraline, andando in Inghilterra, sull’isola di Ray, dove sorge l’antica casa di famiglia dei Tooke per indagare, ma pure studiando attentamente l’ultimo romanzo di Oliver, che narra della storia del giovane medico Simeon Lee il quale, nel 1881, cercò di salvare la vita al reverendo Oliver Hawes. Proprio nel libro scoprirà inquietanti corrispondenze tra il passato della famiglia Tooke e i personaggi del romanzo. Che dette somiglianze siano qualcosa di più che semplici casualità, espedienti narrativi o mere ispirazioni letterarie? Che in esso Oliver abbia tentato di fare rivelazioni scottanti relative alla sua famiglia e queste abbiano fornito il movente per il suo omicidio?
Due romanzi in un unico volume? O un unico romanzo suddiviso in due storie convergenti? Questo è ciò che ci offre Gareth Rubin in questo sorprendente libro double-face.
La tecnica tipografica del tête-bêche era molto utilizzata dagli stampatori del XIX secolo e consisteva nel disporre una parte del testo al diritto e l’altra al rovescio. L’A. in questo caso ci offre due romanzi, uno, con copertina blu da leggere al dritto e uno, con frontespizio rosso, da leggere capovolgendo il volume.
La scelta non è solo un artificio grafico per rendere più accattivante e curioso il libro, ma proprio un metodo narrativo. Non per nulla anche le due storie sono racconti matrioske con libri entro libri che interagiscono con la realtà raccontata cercando di svelarcela o anticiparcela. Inoltre in entrambe sono presenti libri tête-bêche: nella storia del XIX secolo c’è un libricino con una vicenda ambientata nel suo futuro (1939 in California!) che, sul retro, riporta il diario segreto del reverendo; nella seconda, quella del 1939, il romanzo di Oliver Tooke sul retro riporta un diverso racconto.
Ma il gioco di specchi continua per tutta la narrazione, intrigando e incuriosendo il lettore: entrambe le vicende sono misteriose e piene di enigmi; i riferimenti e i collegamenti tra le due vicende, lontane mezzo secolo, divengono, pagina dopo pagina, più evidenti e inquietanti.
L’A., in pratica, oltre a offrirci due racconti intrinsecamente connessi l’uno all’altro, ci presenta un gioco di incastri ed enigmi per sfidarci a scoprire le arcane relazioni che esistono tra le due vicende distanti nel tempo.
Molto abilmente anche lo stile narrativo si adatta alle epoche: quello usato per raccontare la storia del 1881 è più retrò e ricercato, mentre quello della seconda vicenda è decisamente più veloce e diretto, quasi chandleriano.
La prima vicenda ha un sapore vagamente gotico, con atmosfere cupe e tenebrose, che si snodano in un ambiente chiuso e astioso, fatto di gente dedita a traffici illeciti, ostile verso gli estranei; evidenti i richiami a temi cari a Poe, Bierce e Stoker, con accenni a vaghe ingerenze soprannaturali.
La seconda, invece, ci porta in una California rutilante al colmo del suo splendore, tra feste alla Grande Gatsby (con gente sfavillante fuori e vuota dentro) e infatuazioni cinematografiche, ma con situazioni hard boiled e immancabili strizzate d’occhi, come accennavo, alle ambientazioni tipiche in Chandler e Hammett.
Gradevoli le due vicende, ben congegnate ed entrambe cariche di suspense e colpi di scena, narrate con ritmo serrato e scorrevole, anche se non sono particolarmente astrusi gli enigmi proposti e intricate le avventure che affrontano i protagonisti. La fine di entrambe, però, ci lascia parzialmente insoddisfatti, come se i due cammini, che dovrebbero condurci alla soluzione finale del doppio mistero steso tra i due secoli, fossero interrotti da un baratro, un burrone che impedisce di percorrerli sino all’auspicata meta. Le quattro pagine bianche che dividono la fine del dramma ottocentesco da quella del giallo moderno sembrano quasi poste allo scopo di consentire al lettore di continuare, lui, la narrazione per giungere a una conclusione comune e soddisfacente, cercando di dare un senso a indizi e segnali disseminati nelle due storie che, a fatica, si debbono individuare, interpretare e connettere.
In definitiva, si tratta di un romanzo gradevole e divertente, di buon intrattenimento, ma parzialmente incompiuto, irrisolto; un libro che pur svelando le trame occulte che vi sono intessute e identificando formalmente i colpevoli e i mandanti dei delitti compiuti, ci priva del momento catartico atteso nel finale. In pratica ci lascia insoddisfatti e in attesa di un ulteriore capitolo risolutivo, con la delusione di chi, intrigato e affascinato dall’idea e dalla sua realizzazione tipografica, si aspettava ancor di più di quanto realizzato e si trova, invece, abbandonato sull’orlo del disvelamento risolutivo.
Un’ultima curiosità: come Dante si dilettò di chiudere le cantiche della sua Commedia con la parola “stelle”, ripetuta nei suoi ultimi tre endecasillabi, così Rubin termina i due racconti con la stessa, identica parola: “tempo”. Forse, proprio il tempo è la chiave di lettura di questo libro, la soluzione cercata: con il suo scorrere può sciogliere, prima o poi, i nodi e gli intrecci che gli uomini ordiscono.
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Un’avvertenza ai futuri lettori. Per quanto, in teoria, è previsto che si possa iniziare sia dal racconto ottocentesco che da quello più moderno, consiglio di cominciare da quello cronologicamente precedente, cioè da quello con la copertina blu. Infatti, per quanto esistano richiami incrociati alle due vicende, nella storia del 1881 si incontrano meno anticipazione dell’altra e, quindi, non c’è rischio di privarsi delle sorprese che ci riserva la seconda.
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Commenti
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Sì, mi aspettavo anch'io qualcosa di più, soprattutto perché ci sono delle questioni che in entrambe le vicende sono rimaste sospese a mezz'aria. Diciamo che ci sarebbero volute un centinaio di pagine in più per ogni filone narrativo. Però l'idea resta intrigante. Chissà se, istigato dal successo delle vendite, non ci sia un'appendice?
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