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Nonostante tutto, ho voglia di cioccolata calda
Dopo aver ottenuto una buona visibilità a livello nazionale ed internazionale, "Perché hai paura?" è approdato anche sulle coste nostrane e -per merito di una sinossi accattivante e di alcuni consigli da parte di altri lettori- è finito nei miei radar. La promozione sui volumi editi da SEM mi sembrava un'ottima occasione per acquistalo, anche se a conti fatti mi sarebbe convenuto aspettare l'uscita dell'edizione Universale Economica… pazienza! Ciò che conta è aver recuperato un titolo decisamente valido, anche se non per tutti: attenzione ai trigger warning!
La narrazione si apre con una premessa ambientata all'Università di Tours, dove il docente François Villemin sta tenendo una lezione particolare; l'uomo spiega infatti ai suoi studenti che non troveranno alcun riscontro documentato degli eventi di cui parlerà. A questo punto comincia la prima parte nella quale le vicende si spostano in Normandia; qui vediamo l'alternarsi di due linee temporali: una nel 1949 -anno in cui la governante Suzanne "Suzie" Hurteau viene assunta per prendersi cura di un gruppo di bambini durante una sorta di vacanza estiva su un'isola misteriosa- ed una nel 1986 con protagonista Sandrine Vaudrier, giornalista nonché nipote di Suzanne che approda a sua volta sull'isola dopo la morte della nonna.
Questo spunto iniziale purtroppo non rende minimamente l'idea della complessità del romanzo, che a più riprese è riuscito a stupirmi con dei colpi di scena capaci di ribaltare tutte le certezze di chi legge. Non si tratta di un'indagine in cui bisogna accompagnare l'investigatore di turno per far luce su un crimine, anzi le informazioni vengono elargite in abbondanza e con pochissime riserve da parte dei personaggi; eppure si costruisce pian piano un intreccio complesso, che poggia su una struttura per nulla prevedibile. In realtà qualcosa si può anche intuire, ma soltanto quando ormai si è ad un passo dalla rivelazione di turno, e questo per me ha reso i colpi di scena ancora più intriganti.
Ad eccezione di alcune sbavature, mi sento di promuovere anche lo stile di Loubry, che indubbiamente è molto abile nel creare delle ambientazioni cupe e claustrofobiche, perfette per trasmettere un senso di inquietudine ed ambiguità. Mi piace poi come l'autore descriva alcune azioni dei personaggi dando voce ad elementi naturali o ad oggetti inanimati, donandogli una sorta di personalità. È inoltre molto abile nel caratterizzare i suoi personaggi, in particolare i protagonisti che si discostano parecchio dagli stereotipi dei generi thriller e horror, risultando così decisamente credibili nelle loro azioni.
Ma quali sarebbero le sbavature di cui accennavo? si tratta principalmente dell'eccessiva artificiosità dei dialoghi, sia nella scelta del lessico che nella formalità fuori luogo; in alcune parti del testo questo elemento sarebbe stato anche calzante, ma adottarlo sempre lo rende poco funzionale e fastidioso. Non posso dire di aver apprezzato neanche i repentini cambi di prospettiva, a volte nel corso di una singola scena, che confondono inutilmente le idee al lettore su chi sia il personaggio sul quale deve focalizzare la sua attenzione.
In più di un caso poi non ho in tutta onestà capito quale fosse la logica dietro la divisione dei capitoli in paragrafi, perché tra l'uno e l'altro non cambiavano il momento o l'ambientazione, e neppure il POV di riferimento. In quanto inguaribile ottimista -nonché lettrice che ha veramente apprezzato questo romanzo- voglio dargli il beneficio del dubbio ed immaginare che l'intenzione fosse quella di dividere anche graficamente le riflessioni interne dei personaggi.