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Un giallo degli anni Sessanta
Pubblicato nel 1965, il romanzo "Senza pietà" della scrittrice statunitense Patricia Highsmith (1921-1995) non mi è parso un capolavoro né uno di quelli destinati a restare tra gli indimenticabili del genere in questione; diciamo pure senza infamia e senza lode, dal momento che si lascia sì leggere bene, ma come giallo, alla fin fine, non si rivela eccezionale, almeno secondo me.
Lettura, dunque, abbastanza scorrevole dopo aver superato le lente descrizioni della parte iniziale, propedeutica a mettere a fuoco la situazione, non delle migliori, tra i due giovani coniugi (lui scrittore, lei pittrice) protagonisti di questa storia di ambientazione britannica. A poco a poco, infatti, il ritmo della narrazione si velocizza e se in un primo tempo il personaggio di Sydney appare piuttosto indisponente e forse addirittura inquietante per via del suo atteggiamento nei confronti della moglie Alicia, da un certo punto in avanti tutto si ribalta e quello che avrebbe dovuto essere soltanto un sorta di gioco senza alcuna importanza diviene invece una trappola senza via di fuga per il povero marito. Povero perché nemmeno lui, così assorbito dalla scrittura e dalle storie diciamo movimentate a cui la sua fantasia dà vita nella speranza di sbarcare il lunario, avrebbe pensato di cacciarsi in un guaio del genere.
"La finzione con la quale si era divertito fino a quel momento era improvvisamente diventata realtà".
A privare la narrazione di fascino e maggior coinvolgimento è questo giocare a carte totalmente scoperte da parte dell'autrice con il lettore, il quale è persona costantemente informata dei fatti, almeno sino al capitolo 27. Certo, l'epilogo di lì a poco è alquanto spiazzante e l'effetto sorpresa stavolta c'è, ma le battute finali, a mio avviso, non sono sufficienti a rendere eccezionale l'intero romanzo che, qua e là, mostra qualche ingenuità, come lo sperare di Sydney che le impronte digitali lasciate nell'appartamento di Tilbury - in definitiva, un altro beffato come lui - non vengano rilevate (è presumibile che a inizio/metà anni Sessanta le tecniche della scientifica non fossero progredite come quelle attuali, ma la polizia qualcosa avrebbe pur trovato anche allora). Quanto alla protagonista femminile, Alicia è un personaggio poco convincente, nonché la vera responsabile, con il proprio comportamento vigliacco, della morte dell'amante e del fatto che il marito diventi un assassino. Tra i personaggi secondari, fa invece una pessima figura quello di Alex, il socio per così dire di Sydney, a cui poco importa né dell'uno né dell'altra dei signori Bartleby e che, pronto a trarre vantaggio personale dalla situazione, mostra soltanto tutta la sua avidità. Carino, e neanche mal riuscito, quello dell'anziana signora Lilybanks; peccato muoia d'infarto nel momento meno opportuno, senza suscitare inoltre grande commozione.
Nel complesso, il voto non supera le tre stelle.
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