Dettagli Recensione
Cattivi ragazzi
Dimenticatevi il burbero bonario Maigret, questo è un romanzo di Georges Simenon un po' insolito, durissimo, spietato, brutale quanto il protagonista, l'autore ci appare più coinvolto direttamente in quanto scrive, e perciò più cupo, forse, e non solo perché l’epoca è quella buia dell’occupazione nazista. Direi invece che trapela chiaro come sia un romanzo letteralmente redatto da un autore sofferente interiormente per motivi suoi, come in effetti è, depresso e dolorante. Intendiamoci, la mano è sempre la sua, però la penna per quanto valente è intinta in un inchiostro nerissimo, accecante, cinico nella sua oscurità. Simenon è normalmente un attento osservatore di fatti e persone del suo tempo, ma in particolare sa leggere benissimo nel cuore dei suoi simili. Il più delle volte quello che legge non è luce, non tutto almeno, ma stavolta sembra soffermarsi particolarmente solo sulle linee più marcate a carbone brunito. Protagonista è Frank, un ragazzotto triste e sprezzante, all’apparenza uno come tanti, che però è quello che definiremmo un giovanotto parecchio problematico. Privo di padre e di una qualsivoglia guida morale, poiché la madre è coinvolta nei biechi affari del meretricio, è di conseguenza pessimo esempio educativo da seguire, il giovane Frank cresce come un vizioso sfaccendato, non studia, non lavora, batte la fiacca oziando con gli amici. Neanche ha bisogno di mostrare il meglio di sè, comportarsi da bravo ragazzo simpatico ed attraente per rimorchiare qualche ragazza, infatti nell’impresa di famiglia ha modo di sfogare i suoi ormoni in subbuglio, senza sforzo, gratis et amor dei, per cui persiste a militare tra i cattivi ragazzi. Il tutto lo rende un individuo affatto solare, con un cipiglio duro e cattivo. L’ozio è il padre dei vizi, e in un giovane immaturo e presuntuoso, con le carenze affettive del nostro, insieme ad una sorta di innata cattiveria e scarsa empatia per i suoi simili, inevitabilmente lo spinge sempre più in basso nell’abisso dell’abiezione, fino all’assassinio. Né vale ad arrestarlo l’intervento amorevole della crocerossina di turno, questa non è purtroppo una storia tipo la bella e la bestia. Di quella favola c’è sola la neve, ma non è candida, fresca, immacolata, è neve sporca, perciò grigia, scura, rispecchia l’anima del protagonista: una persona odiosa e pericolosa, da mandare a processo per il suo delitto perché gli venga comminato il giusto castigo, quasi come se “La neve sporca” fosse a suo modo un connubio tra “Delitto e castigo” di Fëdor Dostoevskij e “Il processo” di Franz Kafka.
Solo che, e questo Simenon lo dice tra i denti, più che le righe, la neve prima di sporcarsi è bianca, disarmata, virginea. Lo era anche Frank: che aveva il vizio, forse più che pavoneggiarsi che per altro, di stringere gli occhi a fessura. La luce sarebbe passata anche da quella crepa, illuminandogli l’anima nera che si ritrovava certamente non per sua sola colpa. Però è rimasto indietro, nessuno si salva da solo, chiunque chiede salvezza, Frank è ragazzo buio perché conosce solo il buio: aspirava anche lui ad amore, affetto, empatia. Ma aveva stretto gli occhi troppo forte perché le emozioni solari filtrassero; magari trapela un lieve barlume, diciamolo tra i denti, è un cattivo ragazzo, ma più vittima che carnefice. In sintesi, un Simenon diverso, sempre grande, però a denti stretti.
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Dopo una estate a leggere Simenon, forse a causa della 'indigestione', ho parecchio ridimensionato questo autore : l'ho letto agevolmente ma mi ha lasciato poco.