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Il “Socio” e il terrorismo
New York, 2005: Mitchell “Mitch” McDeere, conduce una bella vita: è socio dello studio legale Scully & Pershing “il più grande del mondo”; ha una bella moglie (Abbie) che ama e da cui è riamato; ha due bambini magnifici, bravi, spigliati e intelligenti; vive in un lussuoso appartamento a Manhattan dove, quasi tutte le sere, chef stellati vengono a cucinare piatti sopraffini (le cui ricette dovranno essere inserite nei libri di cucina di cui Abbie è editor). Insomma s’è buttato alle spalle il passato e il fatto che, circa quindici anni prima, aveva rischiato la galera e, fors’anche, la vita, quando l’FBI aveva messo gli occhi sullo studio Bendini dove era stato da poco assunto, per sospetti legami con la mafia.
Però il destino tornerà a bussare alla sua porta mettendolo, di nuovo, in una terribile situazione dove lui e tutta la sua famiglia rischieranno personalmente a causa di terroristi islamici.
Mitch è stato incaricato di occuparsi di una scabrosa controversia, sottoposta al giudizio di un collegio arbitrale internazionale, che vede contrapposti la grande società turca Lannack e il governo libico per centinaia di milioni di dollari di compensi non pagarti per un ponte nel deserto, voluto dalla megalomania di Gheddafi. Per preparare la difesa si recherà a Tripoli al fine di supervisionare le opere di cui è causa. Lo accompagnerà la bella Giovanna Sandrone, figlia dell’avv. Luca, socio romano di Scully & Pershing. Lui, malato terminale, non è più in grado di seguire dappresso il cliente turco nella complessa vicenda, la figlia, invece, per ora impiegata nella sede londinese della Scully & Pershing, s’è stancata del noioso lavoro d’ufficio e vuole vivere un po’ d’avventura. Troverà pane per i suoi denti.
Infatti, mentre Mitch è bloccato in ospedale a Tripoli per una fastidiosa intossicazione alimentare, Giovanna decide di partire ugualmente per il deserto, accompagnata dalle guardie del corpo dell’impresa turca. Non arriverà mai al cantiere: la scorta sarà brutalmente trucidata e lei rapita da un ignoto gruppo sovversivo nemico del leader libico.
Per la sua salvezza i rapitori chiederanno una cifra assurdamente alta che il pur ricco studio Scully & Pershing non può pagare. A quel punto Mitch sarà costretto a una angosciosa gara contro il tempo per trovare il denaro per il riscatto e salvare la vita a Giovanna, mentre i terroristi mostreranno periodicamente di quanta ferocia siano capaci.
Grisham torna a utilizzare il personaggio di Mitch McDeere, che era stato il protagonista del romanzo che gli aveva dato notorietà mondiale (“Il Socio”), per una nuova avventura adrenalinica. Questo libro, lasciate sullo sfondo le questioni giudiziarie, tratterà soprattutto delle difficili questioni dei rapimenti e dei relativi riscatti; in particolare: sin dove è lecito spingersi per salvare la vita di una persona? Quanti e quali sforzi sono moralmente legittimi se, in futuro, essi significheranno mettere a repentaglio molti più esseri umani?
L’abilità dell’A. di congegnare un intreccio avvincente e ben progettato è al di fuori da ogni dubbio e questo libro non fa che confermare le sue abilità di narratore. Tuttavia, a mio avviso, il risultato non è pienamente soddisfacente; siamo ben lontani dai fasti delle primissime opere dello scrittore americano e, forse, si pareggia solo il valore, non sempre eccelso, delle più recenti.
Nonostante il ritmo concitato della narrazione e l’agitazione con la quale Mitch salta da una costa all’altra dell’Atlantico e a parte l’episodio del rapimento che giustifica il racconto, il libro è privo di reale azione e di colpi di scena. Procede lineare verso il suo prevedibile epilogo senza che i protagonisti, e per essi il loro autore, abbiano un guizzo di inventiva per dare una svolta ingegnosa e interamente appagante alla storia. Senza voler svelare il finale, posso comunque dire che l’ho trovato piuttosto deludente, piatto e scarsamente appassionante. Anzi, sotto certi rilievi (che non posso precisare per evitare spoiler) m’è sembrato pure moralmente inaccettabile e, comunque, indigesto per la mia coscienza.
Anche l’utilizzo del personaggio dell’avvocato McDeere non ha alcuna reale giustificazione nella trama e sembra, più che altro, un’esca per catturare i lettori affezionati ai romanzi d’esordio. I primi capitoli, tra l’altro, servono solo a farci sapere cos’è accaduto a Mitch dal momento della sua fuga con gli svariati milioni sottratti alla mafia e prima della sua assunzione presso il mega studio legale. Però sono del tutto inutili e defatiganti ai fini della storia principale.
Il meccanismo narrativo, ben rodato, continua a funzionare e, se ci limitiamo a farci travolgere dalla vicenda, coinvolge, ma non è chiaro dove ci voglia condurre. Detto brutalmente: il resoconto di una transazione giudiziaria avrebbe lo stesso impatto emotivo, se la posta in gioco fosse la vita di una persona.
Ho apprezzato abbastanza la descrizione di noi italiani da parte di un americano: è priva dei soliti banali stereotipi e dà una visione abbastanza corretta dei nostri stili di vita. Evidentemente i lunghi soggiorni da noi di Grisham hanno avuto qualche benevolo effetto. Al contrario m’è parsa assai meno piacevole e, sotto molteplici risvolti, assai poco credibile, l’invenzione dell’ipertrofico studio legale, pletorico e autoreferenziale. Una struttura che pare agire con mezzi e poteri non troppo dissimili da quelli di uno Stato sovrano o di una pervasiva multinazionale, ma con risultati assolutamente deludenti se non proprio penosi. Anche molti dei personaggi di contorno sembrano sopra le righe ed eccessivi.
Inoltre ho il vago sospetto che l’A. abbia peccato in più di un anacronismo, soprattutto quando dota i terroristi di tecnologie e capacità oggi, magari, disponibili con certa ampiezza, ma che, vent’anni fa, erano a stento in uso presso le maggiori superpotenze statuali.
In conclusione si tratta di un romanzo non totalmente disprezzabile, ma sicuramente lontano dalle aspettative.
Indicazioni utili
- sì
- no