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Io ci avevo creduto
Un uomo viene trovato morto in fondo a un dirupo. Sembra si tratti di un suicidio, drammatico, ma tutto sommato niente di nuovo. Le stranezze emergono quando nell'auto della vittima la polizia trova tre patenti diverse, tutte con la foto dello stesso uomo, con la stessa data di nascita, ma con nomi e luoghi di registrazione dell'avvenuto lieto evento molto distanti tra loro. Le indagini portano in effetti a tre donne, ognuna delle quali trascorre alcune settimane al mese con uno dei tre uomini, senza sapere nulla, anzi negando che sia possibile che siano state vittime di un simulatore. Ma come spesso accade nei romanzi anche l'assurda idea di avere a che fare con un uomo che conduce una tripla vita è troppo semplice come spiegazione. Bussi allora ci prende per mano e con continui salti temporali e spaziali, poco alla volta ci offre una spiegazione, in effetti del tutto incredibile, ma soddisfacente, di quello che ha indotto Renaud
Duval, per così dire, a triplicarsi.
Sono forse stata un po' troppo generosa nel dare la valutazione numerica a questo romanzo, mi piacciono però gli autori che hanno il coraggio di inventarsi qualcosa di nuovo, Di osare, creando una storia su qualcosa di diverso dal solito serial killer, di costruire attesa e brividi dosano piano piano le informazioni e giocando sull'apparenza e sul legittimo desiderio del lettore di correre avanti e fare ipotesi prima di avere tutte le carte in mano. Quindi, questo libro non è un capolavoro, a tratti rallenta e inizia a zoppicare, però Michel Bussi ha stimolato la mia curiosità e adesso fa parte della mia lista di autori da tenere sott'occhio.