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Ricostruendo un delitto
"Le origini del male" è un romanzo in cui sono incappata quasi per caso mentre sceglievo i libri da acquistare per ricevere in omaggio l'ennesimo plaid realizzato da Feltrinelli. La copertina ha catturato subito la mia attenzione per le sue vibes inquietanti, mentre la sinossi mi faceva pensare a "L'abito da sposo" -letto ed apprezzato lo scorso anno-, inoltre ero curiosa di scoprire come You-jeong avesse gestito il tropo del narratore non affidabile.
L'incipit infatti ci proietta in una situazione decisamente insolita, nella quale il protagonista non ricorda di essere finito: lo studente sudcoreano Han Yu-jin si risveglia nel suo letto completamente sporco di sangue; subito capisce di non essere ferito, ma il quadro non si fa meno preoccupante quando, nell'arco di poche pagine, trova il cadavere della madre sul pavimento della cucina. Da qui inizia una sorta di indagine durante la quale Yu-jin cerca di recuperare i ricordi della giornata precedente, e non solo: deve infatti spingersi sempre più nel passato per capire cosa l'abbia portato a compiere un simile gesto.
La narrazione non segue una struttura familiare ai lettori occidentali, ma si articola in quattro macro-capitoli -lunghi un'ottantina di pagine ciascuno- in cui alla ricostruzione nel presente si alternano dei corposi flashback che permettono di analizzare meglio la storia familiare del protagonista, con particolare attenzione al suo rapporto con Kim Ji-won, la madre sempre in ansia per la sua salute. Viene indagato anche il rapporto conflittuale con la zia materna Kim Hye-won, interessante nonché fondamentale nell'economica della storia, mentre mi sarei aspettata qualcosa in più per quanto riguarda la figura del fratello adottivo Kim Hae-jin, relegato ad un ruolo meno attivo di quanto sottinteso inizialmente.
Lo stesso discorso vale per il padre, morto anni prima ma che avrebbe potuto ottenere un po' di spazio nei flashback, anche solo per mostrare quale fosse la sua opinione in merito ai problemi del figlio. La mancanza di queste prospettive è l'unico difetto concreto del romanzo, anche se personalmente ho trovato discutibile la scelta di tradurre il testo dall'inglese (con il risultato di farci credere che Seul e dintorni siano pieni di luoghi dai nomi molto amerihani) e anche l'inserimento di fin troppi salti temporali: l'impressione è che l'autrice volesse rendere più complessa una trama abbastanza lineare.
Oltre all'ottima analisi delle relazioni familiari del protagonista, rigorosamente disfunzionali e influenzate dalle pressioni sociali, ho trovato ben riuscito il ritratto psicologico di Yu-jin che si delinea pian piano nel corso della narrazione: la premessa crea un ingannevole senso di empatia verso di lui, ma quest'impressione iniziale va scemando mentre il lettore si rende conto delle sue azioni e dei suoi pensieri.
Seppur non sia il focus principale, credo che l'intreccio sia stato pensato con attenzione e, pur procedendo con grande pacatezza, riesca a mettere in scena delle valide svolte narrative. In sostanza, mi sto sempre più appassionando ai thriller asiatici: dopo Yoshida, anche la cara Jeong finisce nella lista degli autori di cui (traduzioni permettendo!) vorrei recuperare un po' tutto.