Dettagli Recensione
Il viaggio oltre la lettura
Quando scelgo un libro, ricordo a me stesso di disporre di una sola vita e che ogni libro letto rappresenta un impiego di ore preziose, che non torneranno.
"L'ultimo traghetto" di Domingo Villar è stato un libro scelto per il bisogno di compiere un viaggio nel modo più completo e semplice che esista, cioè attraverso la lettura.
Se il fine di Domingo Villar era offrire un romanzo che andasse oltre il semplice intrattenimento attraverso un giallo ben costruito, allora l'han ben conseguito, perché in questi due giorni mi sono sentito in Galizia accanto all'Ispettore Caldas. Ho seguito, come fossi stato un suo collega, l'indagine sulla scomparsa di Mónica Andrade e ho concluso la lettura con l'amarezza di chi torna da un viaggio durato troppo poco.
La scomparsa di una donna con poco più di 30 anni, figlia di un eminente e influente chirurgo, è il cuore della vicenda. Villar ci guida con pazienza - chiedendocene a sua volta - nei giorni dell'indagine, raccontandoci le umane dinamiche che determinano la scelta del Commissario Soto - diretto superiore di Caldas - di assegnare l'indagine all'Ispettore, di permettere le intromissioni del padre della scomparsa, di lasciare che questi faccia pressioni, esiga, chieda, financo ordini. L'Ispettore sarà abile nel gestire la disperazione molesta di un padre in cerca della figlia che fa ciò che può perché la si trovi e credo che le pagine più belle del romanzo siano proprio quelle che vedono Caldas confrontarsi con il dottor Andrade. Davvero, dei dialoghi bellissimi, degni di un classico russo dell'800 scritto da un tale Fëdor, che - ovunque siano - sono certo si sia complimentato con Villar per alcuni confronti, in questo libro, così ben riportati.
La paternità è la chiave di molti elementi chiave della narrazione: il burbero Estévez, fidato collaboratore di Caldas, è prossimo alla nascita del suo primo figlio; la figura più vicina a Caldas - orfano di madre e scapolo- è il padre, detto "L'alchimista"; le fasi finali del racconto sono scandite da delitti influenzati da padri puntualmente manchevoli o colpevoli di qualcosa di determinante.
Restano, tuttavia, troppe le cose non dette. Il finale è tremendamente sbrigativo e, in alcuni passaggi, fastidiosamente prevedibile, quanto fastidiose e incomprensibili risultano alcune sciagurate sviste del nostro Ispettore (che portano il lettore più moderato a chiedersi "in una situazione così stressante, avrei saputo fare di meglio?).
Non sopporto chi legge i gialli vivendoli come una sfida al proprio intelletto e biasima l'investigatore che arriva a capire chi sia il colpevole dopo il lettore. Dunque, invito i prossimi lettori a diffidare da questi fenomeni della critica letteraria che confondono la letteratura con lo sport.
Ritengo che le debolezze di questo romanzo siano: il ritmo a volte lento fino ad essere fermo; il fatto che alcuni personaggi siani solo accennati e non si spieghi il perché dei tratti che li identificano maggiormente o l'origine di una loro peculiarità a volte decisiva per lo sviluppo della trama; un finale stridente con il tono dei capitoli che compongono tutto il libro, che lascia alcuni dubbi e più di qualche nota amara. Insomma, eccovi il colpevole: la serialità, intesa come il fatto che questo romanzo faccia parte di una serie di storie con il medesimo protagonista (e quindi, suppongo, che alcune cose siano spiegate nel capitolo successivo) e la serialità assolutamente non comprensibile dei delitti raccontati in un preciso capitolo del libro, che avrebbe meritato una spiegazione per la quale si poteva trovare spazio e, invece, manca.
Ma, in effetti, quale indagine si chiude veramente lasciando ogni dubbio risolto e ogni questione chiarita? Davvero la letteratura di intrattenimento deve per forza assecondare il nostro bisogno di mettere ordine, un senso, un inizio e una fine a ogni vicenda umana? Forse è proprio questo il merito di Villar, che - pur costretto a incastrare fatti e persone per creare una trama da noir del secolo XXI che piaccia a un pubblico vasto e dai gusti prosaici e popolari - non rinuncia a lasciare i tratti spiacevoli, desolanti e cupi che caratterizzano ogni vita, che li si subisca o li si esprima: l'insensatezza, la crudeltà, la miopia intellettuale, la povertà, l'assenza di redenzione, l'inevitabile decadenza. Da quest'ultimo aspetto sono stato molto colpito, per le parole che ha scritto a riguardo l'autore (facendole dire e pensare a uno dei suoi personaggi) e per il destino che le Parche hanno voluto attribuirgli, forse tenendo questo libro nelle stesse mani che hanno tessuto e reciso la sua vita, finita a 51 anni.
Grazie, Domingo Villar, per il bel viaggio che mi hai fatto fare nella Galizia che hai saputo descrivere magistralmente e per avermi offerto una storia imperfetta, oscura, interessante e coinvolgente fino all'immedesimazione.