Dettagli Recensione
Discesa nel baratro
«Ogni cosa sembra accadere per caso, uno compie i gesti più innocenti del mondo, e proprio quelli gli consentono di bere senza darlo a vedere. È un po’ come nella massoneria, è un linguaggio fatto di segni comprensibili agli iniziati di ogni paese del mondo.»
Quando si parla di Georges Simenon si tende a pensare a lui quale autore del celebre Maigret ma si tende anche a pensare alla sua prolificità di scritti che anche adesso, a distanza di tanti anni dalla sua morte, continuano ad affiorare e ad allietarci. Tuttavia, Simenon è stato un autore estremamente potente anche nella sua scrittura extra Maigret, opere in cui ha sempre evidenziato profondità di tematiche, personaggi vividi e unici, una prosa capace di scavare dentro e di indurre il lettore alla riflessione per mezzo di una narrazione mai giudicante. Simenon, infatti, introduce gli elementi più significativi della narrazione ma poi lascia a chi vi si approccia ogni riflessione, che sia una considerazione o un giudizio morale. Questo fa sì che il conoscitore sia sempre scosso, avvinto e indotto a soffermarsi su quelle tematiche sottese.
Ciò accade anche ne “Il fondo della bottiglia”, lavoro che è bene precisare essere stato composto in un periodo molto particolare della vita del romanziere. Questo volume insieme a “La neve era sporca” è uno dei lavori più cupi e duri di Simenon che in quegli anni stava facendo i conti con la perdita del fratello Christian, condannato in contumacia a morte per aver coadiuvato le SS in una spedizione punitiva che aveva causato la morte di ventisette persone. Ed era stato Simenon stesso a spingerlo ad arruolarsi nella Legione straniera. La madre non mancò, al momento della rivelazione della morte del figlio prediletto, di rinfacciare a Georges della sua responsabilità in merito. Furono dunque mesi duri, caratterizzati da una profonda cupezza per il romanziere e che lo portarono a scrivere questi due scritti quasi come se volesse espiare il fardello, il senso di colpa.
Piccola ma dovuta premessa necessaria per contestualizzare tanto questo scritto che “La neve era sporca” perché tra queste pagine nulla è risparmiato al lettore e ben poco c’è dal punto di vista una prospettiva di salvezza e/o di rivalsa.
«Sarà forse perché anche lui ha bevuto, ma mentre attraversa il soggiorno ha la sensazione che la casa gli ondeggi intorno. E non è solo la casa a tremare dalle fondamenta, ma tutta la sua vita, tutte le sue certezze, raggiunte a così caro prezzo e con tanta ostinazione. Alle sue spalle sente la musica, il suono delle voci e il tintinnio dei bicchieri.»
Ne “Il fondo della bottiglia” siamo in America, in una zona di confine, l’Arizona, con il Messico. Qui vive P.M. con sua moglie Nora, proprietaria di un ranch e di molti altri possedimenti. P.M. è un avvocato, un uomo che nella vita ha cercato di ricostruirsi un volto, che ha cercato il riscatto appartenendo a una famiglia che tutto aveva tranne che i connotati di un luogo sereno in cui vivere. L’uomo non è figlio unico ma con i fratelli non ha rapporti. Cresce con la paura dell’alcol perché ha il ricordo della madre alcolizzata e di quel che ha significato nel suo divenire uomo adulto. Ancora, non rifugge però all’alcol stesso, che assume sempre con quella che lui ritiene essere una calibrata ponderazione. La vita di P.M. cambia in un attimo. Da essere un uomo felicemente sposato con una donna che è quasi più una migliore amica e con una ricerca costante di affermazione in un mondo in cui il debole viene mangiato dal forte ma in cui lui è riuscito a farsi considerare pari, ecco che arriva Donald, il fratello che soprannominerà per cause di forza maggiore Eric con la moglie e gli amici e che è evaso dal Joliet. Donald vuole raggiungere Mildred e i suoi figli in Messico e farà qualunque cosa per riuscirci. È stato aiutato dalla sorella Emily a raggiungere P.M. ma ora è a quest’ultimo che tocca l’arduo compito di portarlo oltre confine. Donald ha avuto un problema con l’alcol in passato, non dovrebbe bere e ancora è stato condannato per omicidio – o presunto tale – per aver sparato a un poliziotto. Da questo momento la vita di P.M. va completamente a rotoli. Ha paura di perdere tutto, si trova imprigionato in una situazione da cui non può uscire fuori se non assecondando e aiutando il fratello, si trova tra “l’incudine e il martello”, prova sempre più astio per quell’uomo che quasi non conosce e cede, cede sempre di più a quei bicchierini che lo chiamano perché non ha altro modo se non scolare qualcosa di forte per affrontare la situazione. E sa anche che Donald vincerà perché mentre lui è un forte, Donald è un debole e per questo viene sempre aiutato, esorcizzato dalle sue colpe, giustificato.
«Anche P.M. aveva paura, una paura sorda, ancora indefinita, ma che lo faceva sudare freddo.»
L’epilogo de “Il fondo della bottiglia” non potrà che essere altrettanto crudo e amaro come la stessa e intera narrazione. I personaggi sono uomini e donne intrisi di debolezze, che non si lasciano amare ma al contrario che suscitano nel lettore un bisogno di distacco. Nessuno è innocente, tutti sono colpevoli, tutti sono pedine di un destino che deve compiersi nel bene e nel male. Sono incapaci, ciascuno a proprio modo, di vedere oltre il proprio circoscritto mondo. Davanti a certe situazioni non mancherà un certo senso di disgusto, davanti alla facilità in cui l’alcol è considerato soluzione, l’odio quotidianità, l’interesse personale costanza, non mancherà la riflessione sottesa.
“Il fondo della bottiglia” di Georges Simenon è il romanzo che mantiene le aspettative e che nel suo essere conferma la grande maestria del belga ma anche la sua profonda umanità in uno dei momenti più difficili in assoluto del suo percorso.