Dettagli Recensione
Elie e Michel
Tra i grandi meriti di Georges Simenon vi è senza ombra di dubbio quello di riuscire sempre ad accompagnare il lettore in viaggi che non sono solo viaggi nel mondo del giallo o del mistero ma anche dell’animo umano. Questo accade in particolar modo, ma non solo, con i Simenon non Maigret, opere in cui la componente più oscura dell’umanità prende il sopravvento. Spesso ci troviamo davanti a opere scritte nel periodo americano del belga, altre volte è innegabile l’influsso sullo stesso di autori russi quali Dostoevskij ma di certo ogni scritto è unico e corposo nel suo genere.
“Delitto impunito”, già uscito nel 1954 con il titolo “Delitto senza castigo” e oggi riedito da Simona Mambrini con un titolo più fedele all’originale, fu scritto nella tenuta di Shadow Rock Farm nel 1953, in un villaggio lacustre del Connecticut che ispirò anche altre narrazioni.
A essere protagonista di queste pagine è Elie, ebreo che viene da Vilnius, oggi capitale della Lituania e da cui si è allontanato perché non tollerava più lo stile di vita sempre uguale e monotono.
«L’uomo che è solo faccia faccia con il suo destino.»
Elie ora vive a Liegi, vive in una stanza affittata nella casa della signora Lange. Qui si invaghisce della figlia della donna, Louise. Ben presto entra in scena Michel, dai capelli e gli occhi scuri, dalla veste elegante, dalle tante possibilità. Ha vissuto una vita più agiata, Michel, può tutto e in tutto quel che può ha anche conquistato il cuore di Louise. Si accorge della gelosia di Elie che spia i due innamorati, spinge la ragazza a pose più audaci che invitano Elie al desiderio di vendetta e punizione per l’amore perduto.
La vendetta non tarderà ad arrivare in un giorno nebbioso in cui Elie sparerà in volto a Michel. Tutto potrà sembrare conclusosi ma non sarà così e nella seconda parte del romanzo assisteremo a un secondo periodo temporale successivo al primo in cui Elie sarà receptionist in un albergo. Qui riapparirà anche Michel ma anche il concetto e l’idea di vendetta come giustizia.
Per Simenon è molto importante il suo personaggio. Così come costruito questo torna e ritorna ma soprattutto non fugge dal suo destino, gli va al contrario incontro. Simenon, ancora, non giudica le azioni del suo protagonista, non è il canonico narratore onniscente. Le osserva, lascia che facciano il loro corso. Ciò non accade per i lettori che al contrario sono colpiti e spinti a riflettere dalle scelte, azioni e valutazioni dei personaggi.
Non manca ancora il confronto con l’anima nera, oscura e cupa dell’uomo. Non manca il rimando a Dostoevskij. I temi affrontati sono tanti e si evolvono, così come si evolve lo stesso concetto di vendetta che nella seconda parte diventa una necessità, un fato, un qualcosa che si stacca dalle motivazioni iniziali ma che deve senza possibilità di appello essere perpetrata.
E non è forse la storia di Elie la storia di una resa dei conti prima di tutto con se stessi? Non è forse il resoconto tragico di un uomo ridicolo che si spinge ai confini massimi dell’illecito che finirà per risucchiarlo nell’ombra per l’eternità?
Un titolo duro, drammatico, crudele. Un libro che ci turba e in cui non troveremo mai una risposta a tutta la crudeltà di cui possiamo essere capaci.