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Il disegno perfetto
Si sa, i rapporti di famiglia e i legami, sono sempre estremamente complessi. Talmente complessi che talvolta si sviluppano con delle dinamiche tanto fini quanto affini, anche quando tra i singoli membri, come nel caso della famiglia Cunnigham, non corre buon sangue. È un dato, se ci pensiamo bene, abbastanza frequente, oltretutto. Il dato oggettivo è che tutti, per un motivo, o un altro hanno ucciso qualcuno, tutti tranne il narratore Ernest, la pecora nera, detto Ernie, almeno al momento. Perché la pecora nera? Ma perché tre anni prima ha denunciato il fratello Michel alla polizia per il delitto commesso, omicidio di un uomo di cui aveva poi chiesto proprio a Ernie di procedere con il seppellirlo clandestinamente in un boschetto.
Tuttavia, la famiglia per nessun motivo si rivolge alla polizia, ed ecco allora che su iniziativa della zia Katerine si ritrovano in un resort sulle montagne australiane dove festeggiano il rilascio di Michel dalla prigione stante la derubricazione del fatto di reato da omicidio a omissione di soccorso e occultamento di cadavere e l’avvenuta detenzione.
La famiglia dei Cunnigham va di pari passo con le morti e anche quando sopraggiunge allo chalet trova il cadavere di un uomo apparentemente morto per il freddo ma in realtà perito a causa di ben altro, sembrerebbe un tentativo di strangolamento con una profonda abrasione sotto al collo. Ma dove e come è morto davvero l’uomo?
«Sembra ovvio, ma i gialli moderni imboccano spesso un’altra via. Tendono a concentrarsi più sugli espedienti narrativi che sui fatti, più sugli assi nella manica che sulle carte in tavola. La trasparenza, invece, era il tratto distintivo dei giallisti del l’Epoca d’oro: Agatha Christie, per esempio, o Chesterton. Io lo so perché scrivo libri su come si scrivono i libri. E per i gialli esistono regole ben precise. Ronald Knox, che fu membro di quella cerchia di eletti, le mise nero su bianco, anche se lui le chiamava “Comandamenti”. Qui le trovate in epigrafe, quella parte di un libro che tutti saltano a piè pari. Ma datemi retta, stavolta vale davvero la pena di leggerla. Anzi, il mio consiglio è di fare un’orecchia alla pagina. Non vorrei tediarvi ripetendole di nuovo, perciò, in estrema sintesi: la regola d’oro dei gialli del l’Epoca d’oro è: Gioca pulito.»
Come in ogni perfetto giallo, non può mancare il dato dell’imperfezione che si traduce in un poliziotto totalmente incapace a gestire e condurre l’indagine. E come in ogni perfetto giallo, ancora, alla Agatha Christie toccherà a Ernie risolvere del mistero e far luce anche sui successivi omicidi che si susseguiranno.
Quel che colpisce di “Tutti nella mia vita hanno ucciso qualcuno” è senza ombra di dubbio il tono con cui è intriso nel suo essere. Si tratta certamente di un giallo, ben ponderato e ben cadenzato, i personaggi sono ben descritti ma ancor più a far leva è il tono ironico e il costante giocare a “l’aiutino da casa”. Non mancheranno passaggi in cui Ernie si rivolgerà direttamente al lettore per confrontarsi sulle ipotesi e possibilità di risoluzione del mistero. Il lettore non faticherà a capire chi si è macchiato della colpa del disegno criminoso, vi arriverà ben prima della truppa di protagonisti stessa ma continuerà comunque ad andare avanti perché la forza del romanzo è data dall’intero insieme. Un insieme fatto di colpi di scena quanto di umorismo sottile.
Un titolo che ricorda la scatola chiusa, formula già adottata e trova in tanti altri romanzi, che rimanda al giallo classico inglese per molteplici punti in comune volutamente ispirati e che ben si offre a una lettura per tutte le stagioni grazie a uno stile che accompagna e conduce per mano.
«Sarà anche una digressione irrilevante (ti sfido, editor: cassa tutto il paragrafo, se hai il coraggio), però siate sinceri: voi siete mai riusciti a passare davanti alla porta aperta di una stanza d’albergo senza sbirciare all’interno? Impossibile.»