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Fibonacci, Fibonacci...
Piccola doverosa premessa: seppur “Labirinti” possa essere collegato a “Puzzle” i due titoli non sono necessariamente susseguenti, anzi, possono essere letti in via totalmente autonoma. Dunque, se non avete ancora avuto modo di leggere “Puzzle” o altre opere del narratore, nessun problema, è possibile avvicinarsi a quest’ultimo lavoro senza conoscere degli antecedenti.
Thilliez è uno di quegli autori che sa essere originale nei suoi intenti. Già in altre opere ha saputo tenere avvinto il suo lettore grazie a scritti capaci di farlo scervellare, interrogarsi e giocare a capire quale fosse l’enigma e il colpevole di turno. A volte è riuscito in modo migliore, altre la soluzione dell’arcano è stata più facilmente intuibile ma nel complesso sa distinguersi per questa impronta psicologica che sa offrire ai suoi lavori. Non manca comunque una certa ridondanza di temi e circolarità tra fatti, eventi e narrato nei vari scritti ma nel complesso sa offrire proposte capaci di suscitare interesse machiavellico.
“Ci sono cinque protagoniste nel racconto che sto per condividere con lei. Solo donne. Scriva. È importante per il prosieguo: “la giornalista”, “ la psichiatra”, “la rapita”, “la scrittrice”
– Mi manca la quinta persona
– Arriva solo in seguito ed è la chiave di tutto.”
“Labirinti” comincia proprio da cinque donne di cui sappiamo ben poco. Sarà solo proseguendo nella lettura che avremo modo di arrivare a capire chi sono e soprattutto qual è l’anello mancante che regge tutta la narrazione. All’inizio dell’opera Camille Nijinski sta parlando con il dottor Fibonacci nella speranza di dar risoluzione a quella che è una storia tanto intricata quanto assurda. È stata ritrovata una donna in evidente stato confusionale tra geloni ai piedi, sangue, choc e una amnesia totale. Non ricorda assolutamente niente di quel che è stato.
Ma attenzione a quel che può intendersi con “labirinti”. Perché i labirinti non sono solo quelli fisici, possono essere anche mentali e possono ripresentarsi anche in narrazioni che si incrociano in storie e realtà che talvolta sono destinate a incrociarsi e altre a non incrociarsi mai. In quest’ultimo caso, cosa hanno queste in comune?
Ancora conosciamo Lysine, una donna orfana che ha paura di tornare dai genitori per via dei ladri. Giornalista appassionata del cibo è una donna irrequieta, affranta, sola. E tanto è sola, tanto lo è anche Vera, la psicologa ritirata sulle montagne lontana da tutto e tutti per scappare dalle onde magnetiche e da quelle che sono le conseguenze da queste apportate. Sophie impersona invece il ruolo della scrittrice che anticipa la realtà nei suoi scritti. Julie è il personaggio che fa ritorno, che è stata rapita, che è la musa ispiratrice di Caleb Traskman il romanziere di romanzi thriller.
Tante storie per tanti volti e tanti colpi di scena alla Thilliez. Non mancano passaggi anche denotati di una certa violenza che può disturbare (soprattutto nella parte delle torture che vengono inflitte a Julie). Anche questi sono però ben studiati e non lasciati al caso o alla circostanza di una narrazione improntata sull’improvvisazione.
Se avete già letto in passato i testi dello scrittore non faticherete a trovare similitudini e punti in comune con altre opere e con la struttura che normalmente offre a queste. Pian piano la narrazione parte, si ricompone e ricostruisce come un puzzle in piena regola che fa sì che ogni tassello, dopo tanti tentativi, vada al suo posto. Lo stile è fluido, i personaggi sommari ma funzionali. Le storie solo in apparenza sono slegate, ciascuna ha in realtà un suo perché e un suo essere.
La vicenda forse non brilla propriamente di originalità ma sa trattenere e incuriosisce. Offre delle piacevoli ore di lettura, nonostante i passaggi più macabri, al lettore che cerca uno scritto con cui staccare la spina.