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Il papà di Celebrity Hunter, in pratica
King in versione Bachman non mi aveva convinta appieno con "La lunga marcia", che avevo trovato troppo sopra le righe per i miei gusti; pensavo però fosse un problema legato alla giovane età dei personaggi (e dello stesso autore, al momento della prima stesura), ovviabile con un protagonista adulto, meno impulsivo. Riponevo quindi le mie speranze di rivalutare lo pseudonimo del caro Stephen con "L'uomo in fuga", e proprio questo è stato il mio sbaglio.
Non vorrei essere fraintesa: il romanzo ha molti punti a suo favore, a cominciare dallo spunto che da il via alla trama. In un futuristico (ma non troppo) 2025, la disuguaglianza sociale è più accentuata che mai: perfino le città sono letteralmente divise, con un quartiere riservato alle persone più agiate ed i bassifondi in cui sopravvivono a fatica i tanti poveri; a prescindere dal proprio reddito, tutti sembrano comunque ossessionati dalla tri-vu -un'evoluzione della nostra televisione- in cui imperano i giochi a premi che vedono disperati concorrenti rischiare la vita per migliorare la propria condizione economica. Tra questi c'è Benjamin "Ben" Stuart Richards che, per poter pagare le cure mediche necessarie alla figlioletta Catherine "Cathy", accetta di partecipare a L'uomo in fuga, diventando così la persona più ricercata degli Stati Uniti.
Sulla carta seguiamo quindi un uomo maturo e con delle responsabilità non indifferenti; a conti fatti però Ben è avventato quasi quanto Raymond fin dalla prima pagina, quando sembra decidere completamente a caso che i Giochi organizzati dalla Rete (un ibrido di governo totalitario ed emittente televisiva) siano l'unica soluzione. Semplicemente, come protagonista non mi è piaciuto: pur cogliendo ed apprezzando i riferimenti autobiografici nelle sue motivazioni mi è sembrato agisse troppo impulsivamente, sia nelle scelte felici che in quelle pessime; inoltre tiene un atteggiamento sprezzante nei confronti di chiunque, etichettando tutti come nemici, e trattando in maniera a dir poco svilente le donne che incontra. Ma nessuno osi neppure guardare di striscio la sua Sheila, guai! e l'attitudine da maschio alfa ritorna anche nel suo non voler accettare il lavoro da prostituta della moglie, mentre è ovviamente giusto che lui rischi la vita per lo stesso motivo.
Il resto del cast non è certamente più amabile: King dipinge una società corrotta in ogni senso, dove è completamente scomparsa l'empatia, dove tutti gli uomini sono stronzi senza motivo mentre le donne vengono ridotte a poco più che oggetti. L'unica mosca bianca è l'attivista Bradley Throckmorton, per mio gusto il solo personaggio ad ispirare delle emozioni positive, e a non ricalcare in modo evidente uno stereotipo stantio.
Per fortuna, gli aspetti positivi non si riducono all'idea di base e ad un solo personaggio. Pur facendo sorridere il lettore contemporaneo per il suo futurismo decisamente vintage, il world building è ben pensato e si dimostra più che un mero orpello, andando ad incidere sulla trama. Dietro la patina della storia d'azione infatti, si scopre pian piano un romanzo che fa della critica sociale il suo focus; per denunciare il divario economico ma anche per parlare di ambientalismo e controllo mediatico. Messaggi forse eccessivamente strombazzati nel testo, ma non per questo meno validi, e sorprendentemente attuali a oltre quarant'anni dalla pubblicazione del romanzo.
Un altro elemento a favore è dato dall'ottima tensione narrativa, che cresce esponenzialmente nel corso della storia -andando anche a correggere il ritmo altalenante dei primi capitoli- e raggiunge il suo culmine nell'adrenalinico finale. Azzeccata a mio avviso anche la scelta di rendere la società stessa la nemesi di Ben, delineando un mondo decisamente triste nel quale neppure le azioni più coraggiose e giuste riescono a renderti un eroe.