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Un americano alla corte di Re Artù, al contrario
Nonostante diversi spunti interessanti, "L'ultimo cavaliere" mi aveva lasciata decisamente tiepida. Da quanto ho capito spulciando qua è là, sembra però essere opinione universale che dal secondo libro in poi la saga The Dark Tower vada solo migliorando; di conseguenza, sono approdata a "La chiamata dei tre" con un certo ottimismo, aspettandomi dei passi in avanti soprattutto a livello di solidità della trama.
Trama che riprende esattamente dove si era interrotta, ossia sulla costa del Mare Occidentale; qui Roland Deschain si ritrova a vagare dopo il confronto con l'uomo in nero. Quando è allo stremo delle forze, il pistolero raggiunge una misteriosa porta in mezzo al nulla che, una volta varcata, gli permette di cominciare a realizzare il futuro predetto dalla sua nemesi. Il resto del volume si concentra infatti sulla formazione del gruppo che in virtù del ka (in parte destino prestabilito, in parte legame mistico, in parte energia spirituale) dovrà accompagnarlo nel suo viaggio verso la fantomatica Torre Nera, soffermandosi principalmente sulle vite passate di questi individui prima di raggiungere il Medio-Mondo.
La trama quindi è migliorata? non proprio: sicuramente l'introduzione di nuovi personaggi promette una narrazione più dinamica nel proseguo della serie, ma d'altro canto gli eventi rilevanti sono molto prevedibili e si sviluppano in modo lento e un po' ripetitivo. Non aiuta l'inserimento di alcune scene filler, decisamente noiose perché il lettore può intuire con facilità in che direzione il caro Stephen voglia spingere i suoi personaggi.
Prima di passare agli aspetti più riusciti del volume, vorrei spendere qualche parola su un altro difetto abbastanza rilevante, soprattutto se consideriamo quanto viene sottolineata nel testo l'importanza del legame tra i protagonisti. Già il rapporto padre/figlio tra Roland ed il piccolo John "Jake" Chambers mi era sembrato un po' prematuro nel primo libro, ma qui raggiungiamo nuove vette di affetto istantaneo; e penso sia all'amicizia con Edward "Eddie" Dean -che, nonostante l'evidente spietatezza del pistolero, gli diventa subito fedele-, sia alla relazione romantica di quest'ultimo con la cosiddetta Signora delle Ombre: qui siamo proprio a livello di instalove! King cerca di giustificare il tutto con il ka, che a questo punto penso sia un po' una scusa per velocizzare lo sviluppo dei legami.
Sull'altro piatto della bilancia abbiamo però parecchi elementi positivi, oltre alla promessa di una trama più consistente in futuro. In primis, è genuinamente divertente leggere del modo straniato in cui Roland interagisce con il nostro mondo: ogni invenzione moderna lo lascia sbalordito, inoltre si meraviglia di continuo per quanto siano economici ed accessibili beni rarissimi nel Medio-Mondo, come la comune carta. Come già accennato, i suoi nuovi comprimari risultano molto interessanti, e anche sorprendenti perché non rappresentano i caratteri canonici che solitamente si associano alle avventure fantasy incentrate sul viaggio eroico.
L'altro grande punto di forza del romanzo è rappresentato dai personaggi secondari e dalle comparse, delineati con tanta cura da rimanere facilmente impressi. Alcuni in realtà sono in scena per pochissime pagine -come l'assistente di volo Jane Dorning, il medico praticante George Shavers o il farmacista perennemente ulcerato Katz-, ma in quello spazio il caro Stephen riesce a caratterizzarli in modo dettagliato e verosimile, senza necessariamente ricorrere a cliché abusati. Ci sono inoltre personaggi talmente ben scritti ed approfonditi che avrebbero potuto ambire a ruoli più importanti: è il caso del narcotrafficante Enrico "Rico" Balazar, che in un altra storia non avrebbe sfigurato come villain principale.