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Da grandi poteri...
Da quando ho iniziato ad appassionarmi alla prosa e alle idee di Stephen King, ammetto che mi piacerebbe recuperare pian piano un po' tutta la sua bibliografia. In realtà, "La scatola dei bottoni di Gwendy" non era tra i titoli più interessanti a mio avviso, però la CE ne ha proposto l'edizione economica in una promozione che non potevo lasciarmi scappare; come la maggior parte delle promozioni librose di cui cado puntualmente vittima, tra l'altro. Questo per dire che ho cominciato la lettura senza troppe aspettative, mantenendo però qualche speranza visto lo spunto interessante alla base della storia.
Il libro si domanda infatti cosa farebbe una persona qualunque se avesse il potere di distruggere un luogo nel mondo a suo piacere. È quando succede alla dodicenne Gwendy Peterson quando, durante la sua corsetta quotidiana sulla cosiddetta Scala dei Suicidi, viene avvicinata dal misterioso Richard Farris; l'uomo le consegna una scatola magica che le cambierà la vita, realizzando ogni suo segreto desiderio, ma dandole anche la possibilità di far scomparire un continente o perfino l'intero pianeta.
Come in ogni storia nella quale il protagonista diventa custode di un potere immenso, questo spinge Gwendy a sentirsi in qualche modo responsabile per ogni evento tragico colpisca le persone a lei vicine, oltre a comportare degli svantaggi: la scatola sembra infatti esercitare un magnetismo malato e diventa in poco tempo fonte di incubi ricorrenti. A mio parere però il potenziale di quest'idea non viene sfruttato appieno, sia nel corso della storia (perché non si raggiungono mai i picchi horror che mi aspettavo) sia nella sua conclusione, che svincola la ragazza da ogni responsabilità senza una vera presa di consapevolezza da parte sua.
Per questo Gwendy risulta una protagonista non troppo convincente: mi sarebbe piaciuto molto vedere una sua progressiva involuzione, a causa della tentazione generata dalla scatola, invece rimane sempre un personaggio quasi totalmente positivo. Anche il resto del cast non spicca particolarmente, con la sola eccezione di Farris, un personaggio già noto ai fan di King che qui penso abbia resto meglio a livello caratteriale rispetto al ruolo da lui giocato in un romanzo precedente.
Oltre ad un concept di base davvero intrigante, tra gli elementi positivi di questa novella devo citare le bellissime illustrazioni che la arricchiscono e i collegamenti a diverse opere del caro Stephen: ad esempio, Gwendy abita a Castle Rock e questo ci permette di sentir menzionare un certo sceriffo Bannerman. Tra gli aspetti meno riusciti devo invece aggiunge il formato scelto per questo libro, perché si ha l'impressione che un racconto anche incisivo sia stato diluito forzatamente, aggiungendo personaggi inutili e battute fini a se stesse. Viceversa, sfruttando la stessa idea in una trama più articolata, si sarebbe potuto ottenere un valido romanzo.
Alla fin fine ho trovato carina la storia di Gwendy ma ripensando a com'è stata gestita la narrazione, in particolare nell'epilogo, non mi sento granché invogliata a recuperare i seguiti, almeno per ora. Anche perché dalle loro sinossi non mi sembra portino contenuti inediti rispetto a quanto già visto in questo volume.