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Non chiamatelo giallo
In questo romanzo, con il suo stile inconfondibile che le deriva dal suo garbo, tipico da anziana signora di campagna la George ci racconta l'antefatto del suo libro precedente. Dopo averci lasciato con la morte ancora inspiegata della moglie del suo ispettore Linley la scrittrice ritorna sui suoi passi e ci svela che cosa è successo nei mesi precedenti e le ragioni per cui quel fatto di sangue è avvenuto. La storia è quella di tre ragazzini con un padre morto, una madre chiusa in un manicomio, affidati a una nonna che si accompagnano con uomini discutibili, che a un certo punto decide di lasciarli sulla porta di casa di sua figlia per potersene andare all'estero a costruirsi una nuova vita. I tre ragazzi: un'adolescente abusata, un ragazzino con difficoltà cognitive e un undicenne che cerca di fare l'adulto, in un mondo in cui gli adulti che dovrebbero aiutarlo non hanno idea di quello con cui hanno a che fare, non possono che finire male. La George ci racconta il loro tentativo di rimanere a galla, le grida di aiuto che lanciano e infine la decisone di lasciarsi andare e di accettare la logica delle bande criminali che domina la zona di Londra dove vivono. Il romanzo è certamente scritto bene, curato nei dettagli e nonostante la crudezza dell'argomento, esposto in modo rispettoso, sia dei lettori che dei suoi personaggi. Detto questo, non è un giallo, un thriller o altro di simile.