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La Mitford comunista alla guerra in Spagna
Louisa Cannon – ormai felicemente sposata con l’ex poliziotto Guy Sullivan e madre della piccola Maisie – non sta nella pelle in attesa di affiancare il marito nella gestione della loro neo-costituita agenzia di investigazioni privata. Non si aspetta, però, che la prima richiesta di intervento le giunga da Nancy Mitford, la primogenita della ingarbugliata e ingestibile nobile famiglia presso cui lei, da ragazzina, aveva lavorato come bambinaia e cameriera. Però, Nancy, con la quale ha conservato rapporti di amicizia, le chiede di indagare sulla scomparsa di Jessica, “Decca” per la famiglia. L’irrequieta ragazza, appena diciannovenne, che non ha mai fatto mistero delle sue simpatie per il comunismo come contraltare alle passioni per il nazi-fascismo delle sorelle Unity e Diana, è scomparsa da casa da alcune settimane. Sarebbe dovuta essere a Dieppe ospite presso alcune amiche, ma là non è mai giunta: l’invito era tutta una frottola per ottenere il consenso dai rigidi genitori, lord e lady Redesdale. Ora nessuno sa dove si trovi. La famiglia è nel panico, sia perché teme per la sorte della irruente ragazza, sia per la pubblicità negativa che travolgerebbe la nobile casata. Louisa e Guy si mettono a fare ricerche e, ben presto, scoprono che Decca è fuggita assieme al cugino Esmond, una delle pecore nere della famiglia, pure cugino di Winston Churchill e, anche lui, simpatizzante del comunismo sovietico. Forse i due vogliono recarsi in Spagna, per unirsi alle Brigate internazionali che combattono contro le truppe nazionaliste di Francisco Franco. Inizia così un’indagine tra Inghilterra, Francia e Spagna, complicata pure dal fatto che la famiglia vorrebbe il minor clamore possibile. Nel frattempo a Louisa viene chiesto pure di ritrovare una tal Petunia Attwood, impiegata presso una compagnia di assicurazioni, scomparsa su per giù nel medesimo periodo di Decca e, forse, anch’essa fuggita in Spagna o, comunque, nel sud della Francia. Le due indagini rischiano di incrociarsi.
Questo e il quinto romanzo dedicato alle irruenti sorelle Mitford, che, a modo loro, hanno scritto una pagina di storia nell’Europa della prima metà del Novecento. La protagonista della storia, però, non è la Mitford “comunista”, bensì l’inventato personaggio di Louisa Cannon che è la testimone, talvolta coatta, di tutte le intemperanze e follie delle sei nobildonne. Louisa si deve districare tra i doveri di madre, di donna che lavora e di ex dipendente dei Mitford che continuano a ritenerla una sottoposta. Le vicende investigative (quella di Jessica e quella di Petunia e di altre due donne svanite nel nulla) è piuttosto lineare e priva di grosse sorprese.
Peraltro, in questo caso, la storia di Jessica è più che altro il pretesto per parlare d’altro. Infatti mentre le vicende personali della Mitford “ribelle” occupano poco più spazio di quanto ne sia servito per compilare la scheda che la riguarda su Wikipedia, le vicende si diramano soprattutto a raccontarci la situazione dei profughi spagnoli in fuga dalla guerra civile e le peripezie di donne maltrattate da uomini violente e criminali.
Il difficile compito di un autore che si cimenta nel romanzo storico consiste nell’incastrare, nel complesso puzzle di vita reale, le tessere della vicenda “fittizia” in modo plausibile senza stravolgere la verità documentale. Nella fattispecie, le avventure di Louisa ben si adattano alla vita, di per sé decisamente avventurosa, delle Mitford Sisters, ma, forse proprio perché la realtà offrirebbe già troppi spunti di interesse, il racconto inventato aggiunge pochi elementi d’interesse, nonostante che il periodo storico scelto ne avrebbe a bizzeffe. Purtroppo m’è sembrato che, nonostante gli sforzi fatti, la tragedia del popolo spagnolo, schiacciato tra le schiere belligeranti di Nazionalisti e Repubblicani sia stata trattata con troppa frettolosità, con algida precisione, senza un particolare coinvolgimento. In pratica m’è sembrato di leggere le impressioni di un compilatore di un Baedeker storico, animato da asettica curiosità per ciò che lo circonda, piuttosto che di partecipazione al dramma delle persone coinvolte. La storia si sviluppa in modo ordinato e lineare, senza grandi sorprese, neppure nel finale.
In generale lo stile narrativo è fluido, curato e diligente, ma risente di un certo snobismo descrittivo, e di un metro di giudizio molto “british”, al punto che ci viene il dubbio che la moralità e la dignità delle persone venga calibrata in base allo stato di pulizia delle tendine alle finestre, dell’abbigliamento indossato (guai presentarsi con camicie sudate o colletti lisi!) o dal fatto che si possa ottenere una tazza di buon tè all’inglese ben caldo e zuccherato. Insomma l’A. continua a mostrarsi una scrupolosa narratrice dai toni leggeri e sofisticati (anche quando forse non sarebbe il caso!) più affine alle atmosfere ovattate della società aristocratica, che alle crude realtà degli anni Trenta che vorrebbe descrivere.
Insomma “La sorella scomparsa” è un romanzo gradevole e distensivo, ma forse fuori tono rispetto ai temi che potrebbero essere svolti in quelle specifiche ambientazioni storiche.
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Per la pagina del pignolo non posso esimermi dal biasimare un palese svarione storico, probabilmente da addebitarsi al traduttore. A un certo punto nella narrazione diviene centrale il ritrovamento, su un cadavere, di un soprabito tipo montgomery che, nel testo italiano, viene appunto ripetutamente definito “montgomery”. Ora, visto che la vicenda si svolge nel 1937, quel termine non poteva neppure essere pensato, infatti il cosiddetto “duffle coat”, il cappotto con cappuccio usato nella Marina inglese sin dalla I Guerra Mondiale, assunse quel soprannome solo durante la Seconda guerra mondiale, per l’abitudine del generale Montgomery di indossarlo sopra la divisa. Un clamoroso anacronismo!
Indicazioni utili
- sì
- no