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A metà tra noir e surrealismo
Da parecchi anni intendevo leggere un'opera di Auster, e ho scelto di iniziare da quello che forse è il suo titolo più noto, "Trilogia di New York", una raccolta composta da tre novelle prima pubblicate singolarmente. E la scelta di accorparle è stata senza dubbio corretta, visto che le diverse storie vanno a comporre un grande gioco di specchi in cui personaggi, luoghi e vicende si ripetono uguali eppure diversi, per qualche piccolo dettaglio. Forse non la lettura più semplice per approcciare un nuovo autore, ma la ritengo una buona scelta per capire subito se la sua prosa particolare piaccia o meno.
Nel mio caso, stilisticamente ci siamo senza problemi, mentre sul piano del contenuto ho non poche riserve; questo perché il sottogenere hard boiled -quindi le storie dalle tinte fosche, con l'investigatore tormentato circondato da donne avvenenti- non mi piace per nulla. Pur volendo parlare di tutt'altro, questo titolo alla fin fine è un noir di stampo classico, e questo ha decisamente influito sulla mia capacità di apprezzarlo, soprattutto nella seconda e nella terza novella. Ma vediamo per sommi capi quali sono le vicende narrate, premettendo che tenterò di essere il più chiara possibile, a differenza del caro Paul.
"Città di vetro" (il migliore tra i tre racconti, a mio parare) racconta dello scrittore Daniel Quinn, scambiato per un investigatore privato e in quanto tale assunto da una coppia per pedinare l'ex carcerato Peter Stillman, che i due temono possa far loro del male. In "Fantasmi" vediamo invece un vero detective noto come Blue impegnato a sorvegliare un certo Black, uomo dalla vita quotidiana decisamente placida. Infine, "La stanza chiusa" viene narrato in prima persona da un altro scrittore, del quale però non scopriamo mai l'identità, che si trova a prendere pian piano il posto dell'amico e collega Fanshawe -improvvisamente scomparso- nella sua vita, e nel suo matrimonio con la moglie Sophie.
Come si può intuire già da questi brevi sunti, le trame presentano tantissimi elementi in comune, come le ripetizioni dei nomi, le assonanze tra le storie individuali dei diversi personaggi (per tanti aspetti, intercambiabili tra loro) o la massiccia presenza di citazioni ed aneddoti. In sostanza le tre novelle sono talmente simili da poter essere valutate come una sola grande narrazione, che potremmo quasi riassumere utilizzando i loro stessi titoli: una storia di persone sfuggenti come fantasmi, rinchiusisi in stanze buie, all'interno della città di vetro ossia New York.
Pur non riuscendo proprio ad apprezzare la tipologia di storia raccontata, ho gradito molto lo stile di Auster, potente e colto, nonché ricchissimo di rimandi meta-narrativi. Mi sono piaciute a loro modo anche le frequenti digressioni, che spezzano sicuramente il ritmo della narrazione ma permettono anche di includere dettagli e riflessioni sull'origine del linguaggio, sul significato della fede e sulla perdita della propria identità. Valutare i personaggi d'altro canto sarebbe del tutto inutile, dal momento che sono quasi unicamente delle maschere dietro le quali si cela lo stesso autore.
Forse da questo commento non è facile da intuire, ma questa rientra tra le letture più bizzarre e stranianti degli ultimi anni. Non mi ha però tolto la curiosità di leggere altro del caro Paul, che in un genere diverso credo potrebbe rendere al meglio.
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