Dettagli Recensione
Un caso come tanti
Se un lettore volesse star dietro a tutte le serie di romanzi che la letteratura ci propone al giorno d’oggi, non gli basterebbe un secolo per seguirle tutte. Una di queste è quella creata da Joël Dicker e il suo Marcus Goldman, che fa il proprio esordio in quel romanzo di strepitoso successo che è “La verità sul caso Harry Quebert”, che ha spammato i nostri social, le librerie e le televisioni per un tempo davvero lunghissimo. Dunque un ritorno del protagonista era assolutamente annunciato (e in fondo già avvenuto con “Il libro dei Baltimore”) ed ecco che ci si ripresenta con “Il caso Alaska Sanders”, probabilmente il secondo di una lunga serie di casi che Joël Dicker è deciso a regalare ai propri lettori.
Ma vale la pena leggere questo romanzo? Certo la narrazione scorre facilmente, è un libro che come ogni buon thriller si lascia leggere e ci porta nell’intricata rete delle indagini che hanno al centro l’omicidio di Alaska Sanders, giovane modella e aspirante attrice uccisa oltre dieci anni prima della timeline del romanzo. Goldman, in qualche modo, rivangherà questo omicidio e porterà alla luce come, probabilmente, di questo delitto siano stati puniti ben due innocenti. Fato vuole che ad occuparsi del caso, all’epoca, era Perry Galahowood: questo permette all’autore di riformare una coppia che funziona e unirla definitivamente per i casi a venire, finché morte non li separi. In certi tratti, tuttavia, ho notato più di una forzatura: i testimoni vengono interrogati tantissime volte, perché ogni volta si inventano una balla diversa e gli investigatori devono tornare da loro e dirgli di smetterla di fare i cattivi, altrimenti finisce male; molti elementi dell’indagine si incastrano troppo a fagiolo, in modo che l’intricata rete dell’assassino possa reggersi in piedi, e quando questa si sbroglia si rivelano nella loro artificiosità.
Il racconto non ha nulla di troppo originale, è un omicidio come lo si può ritrovare in tantissime altre serie thriller e questo forse influisce sulla curiosità del lettore, che seguirà sì il dipanarsi degli eventi ma sarà trascinato avanti semplicemente dalla voglia di scoprire il colpevole e senza molti altri interrogativi. Ma un omicidio è un omicidio, mi direte, cosa può inventarsi un autore a riguardo? Guardate la prima stagione di True Detective, e poi ne riparliamo. Vi dico solo una cosa: i dettagli. Quello di Alaska Sanders è una storia come tante altre, che è piacevole ma non riesce a spiccare nel panorama del genere, in cui più che distinguersi per originalità e cercare di raccontare qualcosa che possa elevarsi al di sopra degli altri sembra che gli autori si limitino a trovare la formula che funziona meglio, quella che può accalappiare il maggior numero di persone, e una volta ogni uno-due anni sfornare un libro nuovo con cui tenerli occupati. Joël Dicker non mi sembra faccia eccezione.
Sarò troppo severo? Forse lo sono. Il thriller è in fondo qualcosa con cui passare il tempo, e non è certo da biasimare un autore che decide di dedicarvisi. È vero, ma ci sono alcuni autori che riescono a trascendere il genere a cui appartengono e raggiungere vette più alte: penso a King per l’horror, a Ray Bradbury e Stanislaw Lem per la fantascienza… chi si offre per trascendere il genere del thriller? Ci è riuscito Nic Pizzolatto, ma con una serie tv… attendiamo la svolta letteraria.
“Apparenze, scrittore. Le apparenze sono il collante della nostra vita sociale. Ma nell’intimità delle nostre case, tutto crolla.”