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Urla che ti passa
Dopo un paio di lavori non proprio esaltanti il buon vecchio Chuck torna a ruggire. E lo fa aderendo al modo che meglio conosce per raccontare i suoi moderni incubi, ovvero creando una storia dai risvolti folli ed allucinati, in cui la memoria -reale o distorta che sia- genera mostri. Col consueto occhio critico sottolinea la mercificazione di quel male occultato dalle ingannevoli luci del sogno Hollywoodiano, lasciando sfogare una sofferenza in cui solo medicinali e alcol in un caso, e la speranza nell'altro, possono acuire gli effetti devastanti di vissuti border-line. L'esasperazione dei concetti, e il caos creato da un mondo in cui la realtà è di continuo modellata dalla menzogna, sono suggellati attraverso l'insolita ma riconoscibilissima cifra stilistica dell'autore, al solito capace di sedurre con ghirigori narrativi di raro talento, in grado di trascinare il lettore al crudele ed eterno cospetto della cristallizzazione della morte. Palahniuk attacca frontalmente l'industria cinematografica salvando "il tempo che fu" (di cui la scream-queen Blush Gentry è anima candida e diabolica allo stesso tempo) rimarcandone le contraddizioni e l'istinto autocannibalico, qui eletto a mezzo purificatorio per la creazione di un nuovo ordine che ovviamente sconvolgerà le vite, o meglio, le ossessioni, dei due personaggi principali (e non solo).
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