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Un paesaggio fatto di numeri
Matsumoto Seicho è definito “Il Simenon giapponese” per la similitudine con le storie giallo-noir del noto e prolifico autore belga. Tuttavia, rispetto a Simenon, non si ravvisa in questo breve romanzo quell’analisi introspettiva dei personaggi e delle cause che hanno portato ad un evento, così profonda invece nella scrittura simenoniana. Ma nonostante questa personale osservazione Tokyo Express è un racconto del 1958 che acchiappa e coinvolge il lettore. Attraverso l’indagine poliziesca condotta da Mihara, un commissario della polizia di Tokyo, si narra la storia di un presunto doppio suicidio – un uomo ed una donna vengono trovati morti su una spiaggia rocciosa- dietro il quale si nasconderebbe un clamoroso caso di corruzione politica.
La particolarità del libro, il suo valore aggiunto, è indubbiamente rappresentato dal fatto che la storia del presunto suicidio della coppia, che sembra in realtà nascondere un omicidio con un potenziale colpevole individuato, si sviluppa tanto nello spazio quanto nel tempo, attorno ad un racconto di viaggi e di spostamenti: dal nord al sud del Giappone, dagli estremi dell’isola settentrionale di Hokkaido fino all’isola meridionale di Kyushu; di orari di treni presi (e forse persi), di traghetti e di aerei, che a seconda dei punti di vista e dei protagonisti coinvolti possono allo stesso tempo considerarsi alibi o schiaccianti prove di colpevolezza. Come raccontato dalla parole di uno dei personaggi del libro, l’orario dei treni del Giappone sembra nascondere “Un paesaggio fatto di numeri”, perché dietro ad ogni stazione, ad ogni orario di arrivo e di partenza, sembrano svelarsi tante storie di vita, incastri di orari da rispettare per non perdere quel treno necessario per portarti dove devi andare.
Seicho alla maniera dei migliori romanzieri di genere poliziesco, attraverso le elucubrazioni del poliziotto protagonista, riesce a confondere il lettore, ad illuderlo fornendo indizi che poi si riveleranno fallaci, anche se passettino per passettino il puzzle riesce lentamente a ricomporsi in maniera assolutamente spiazzante. L’autore infatti ci ricorda che “Le persone tendono ad agire sulla base di idee preconcette, a passare oltre dando troppe cose per scontate. E questo è pericoloso. Quando il senso comune diventa un dato di fatto spesso ci induce in errore….E così abbiamo finito per fare il gioco del nemico“.
In definitiva un romanzo piacevole anche se a mio avviso sono presenti alcune lacune riconducibili a differenze sostanziali tra l’epoca di pubblicazione del libro in Giappone, 1958, e l’attuale periodo storico in cui viviamo, tutte imputabili a differenti - e soprattutto più rigide- regole di viaggio che renderebbero praticamente impossibile la costruzione nel XXI° secolo di un certo tipo di alibi così come presentato nel testo. Inoltre se l’autore ha l’indubbio merito di approfondire l’indagine poliziesca che porterà alla soluzione del caso, tende invece a trascurare e sintetizzare eccessivamente nel finale, proprio il fattore scatenante, quindi la ricostruzione del “vissuto” delle due vittime oltre che l’elaborata e sofisticata pianificazione dell’evento delittuoso.