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Un diamante e tanti, troppi misteri
Una amena località balneare sulle coste inglesi della Manica e alcuni signori distinti, molto distinti, sono i protagonisti di questa vicenda ambientata nell’immediato primo dopoguerra.
Le scogliere di Folkestone che s’affacciano sulla Manica sono un luogo davvero incantevole per trascorrervi le vacanze. Questo, almeno, pensa Rowland Lawson, gentiluomo di Londra convalescente dopo una grave malattia, mentre scende canticchiando verso la spiaggia. Ma alla svolta del sentiero l'attende una terribile sorpresa: a terra c’è il cadavere di un uomo, barbaramente ucciso con una pugnalata alla schiena.
Dopo rapide indagini si scopre che la vittima era un mercante francese di diamanti, Monsieur Auberge venuto in Inghilterra per incontrare un collega inglese e trattare la vendita di una gemma preziosissima: un grosso, meraviglioso diamante, dai riflessi giallo-arancioni, appartenuto a una nobildonna russa, profuga dopo la Rivoluzione d’ottobre.
Però non sembra che la vicenda si limiti a girare attorno a questi elementi. Il morto conduceva una doppia vita: oltre a quella ufficiale di commerciante di preziosi era pure coinvolto in misteriosi intrighi con una setta segreta. All’albergo aveva fatto riporre in cassaforte non già la preziosissima pietra, ma un incartamento scritto in codice. Pare, inoltre, che l’uomo recasse con sé molto denaro (scomparso assieme al diamante) e, soprattutto, molte informazioni che gli potrebbero essere costate la vita.
Le indagini, sono condotte dal raffinato investigatore Daniel Perivale della polizia locale che sarà, in seguito, affiancato dal celebre investigatore francese Monsieur Laborde, perché a intorbidare la faccenda, già di per sé intricata, ci si metteranno pure i messaggi cifrati, gli oscuri interessi della misteriosa, terribile società segreta, altre morti e forse, ulteriori fatti inesplicabili che allargheranno le ricerche a Parigi e a Londra.
Nella mia riscoperta dei romanzi gialli classici mi sono imbattuto in questo libro, pubblicato per la prima volta negli anni ’20 del secolo scorso da Joseph S. Fletcher, contemporaneo del grande Conan Doyle e considerato uno dei padri del poliziesco dell’età dell’oro.
La vicenda che ci viene offerta è quanto mai intricata e, se vogliamo, arruffata, giacché a ogni pochi capitoli ci viene offerta una sempre nuova prospettiva sotto cui esaminare l’omicidio. Insomma questa storia ha rispettato ben poche delle famose venti regole che S. S. Van Dine ritenne di dettare, qualche anno dopo, per confezionare un buon poliziesco. In particolare al lettore non vengono forniti gli indizi e le tracce necessarie per risolvere il mistero. Anzi, pagina dopo pagina, vengono introdotti fatti nuovi, personaggi sempre diversi e circostanze che, invece di aiutare l’indagine la complicano, la ramificano e ne distorcono il percorso.
Sono abbastanza naif e poco credibili gli approcci quasi salottieri, con cui gli investigatori procedono nelle indagini e negli interrogatori, spesso rivelando a chicchessia quelli che dovrebbero essere segreti istruttori. Anche l’ansiosa bramosia dei comuni cittadini di presentarsi a testimoniare, a fornire indizi a segnalare circostanze neglette dagli inquirenti, appare abbastanza oltre la credibilità, pur in una società, come quella della Gran Bretagna georgiana, in cui il civismo era molto più sviluppato che oggi.
Tutto sommato, però, se si piglia il libro come un racconto d’avventure poliziesche limitandosi a farsi trascinare dalla narrazione, senza pretese critiche sull’intreccio e senza la presunzione di voler anticipare gli investigatori nelle ricerche, la storia è potabile e offre un discreto svago per alcune ore.
Indubbiamente il palato esigente del lettore moderno potrà pure trovare incongruenze e ingenuità, ma complessivamente è un romanzo gradevole, distensivo e un buon antidoto per chi è ormai assuefatto alle indagini scientifiche stile C.S.I.