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Mistero oltre l’ovvio mostrarsi
Una storia vera, protagonista delle cronache a partire dal 2008, ricostruita dettagliatamente e romanzata da Florence Aubenas, giornalista e scrittrice, con l’ intento di restituire un senso e una verità tuttora immerse in un mistero profondo e innominato.
Un noir che si tinge di vita vissuta in un borgo di provincia tra la Francia e la Svizzera, Montreal la Cluse, incastrato in mezzo alle montagne, a seguito dell’ omicidio efferato di Catherine Burgod, quarant’anni, alta, bella, di solito bionda, impiegata delle Poste.
Ventotto coltellate, nessun movente se non a scopo di rapina, forse un delitto passionale, ma perché tanto accanimento e di chi è la colpa, il paese è piccolo, tutti si conoscono ma nessuno ha visto niente.
È qui che si ricerca il colpevole e si restringe il campo, si pensa ai famigliari, all’ ex marito tradito, al padre ingombrante che ha fatto di tutto per trattenere la figlia, al nuovo compagno, e poi Catherine era in dolce attesa.
La sua pareva una vita perfetta, un matrimonio e due figli, una cerchia di amiche di infanzia, relazioni sociali consolidate, ma oltre l’ apparenza il buio, il forte desiderio di sparire, anche di morire.
Di fronte a un’ indagine singhiozzante e a un immobilismo che esige un colpevole c’è un altro indizio, a un certo punto il solo e un volto, quello di Gerald Thomassin, un parigino capitato in mezzo alle montagne quasi per caso, un ex attore di successo, vissuto tra violenza e riformatorio, una fama giovanile sfumata negli abissi di un passato tormentato e dissolto in una mente contorta affondata tra droga e alcool.
Thomassin va snocciolando senza sosta la propria vita in un paese di taciturni, si barcamena grazie a un sussidio governativo, abita di fronte alle poste, frequenta compagnie poco raccomandabili, non lavora da tempo, ha bisogno di denaro e conosceva la vittima, è uno sbandato che ha smarrito la strada maestra.
Di certo quello di Catherine Burgod non è un suicidio, il colpevole è lì’, da qualche parte, ma il paese comincia a ritrarsi e a chiudersi in se stesso, l’omicidio ha lasciato tutti nello sconcerto, una misera refurtiva per un massacro siffatto, che si tratti di un delitto passionale?
A Montreal la Cluse si conosce tutto di tutti, orari, spostamenti, è una regione poco popolata, ma dalle seicento testimonianze raccolte emerge un vuoto eccedente, come se l’ assassino si fosse dissolto nel paesaggio.
La colpa converge su Thomassin anche se le tracce del dna rinvenute non sono le sue ma quelle di uno sconosciuto, il tempo passa, ci sono nuove testimonianze, la famiglia ( il padre di Catherine ) esige un colpevole, Gerald è uno sbandato, un attore multiforme, che sa mentire ed entrare nei panni dell’ altro, ritagliarsi un ruolo, sdoppiarsi, immedesimarsi, l’ incubo di una vita dissolta lo ha portato a straparlare di se’ sempre e comunque.
Quando il caso pare instradato in una soluzione di colpevolezza improvvisamente si riapre, inscenando una vicenda diversa e tutt’altra storia, Il ritmo si fa incalzante, quello che è stato potrebbe non essere, avvalorare un’ ipotesi o confermare la stessa. La ricerca di un colpevole devia obbligatoriamente per accogliere una formula inversa, non del tutto convincente, all’ inseguimento di una giustizia finalmente giusta.
Una storia ben scritta, anni di ricerche dettagliate, testimonianze, interviste, vita vissuta in loco, un credibile approfondimento giornalistico di una vicenda nebulosa e complessa, che restituisce un’ umanità fragile e contorta dietro l’ovvio mostrarsi.
Oltre la cronaca un mondo relazionale sommerso e una figura, quella di Gerald Thomassin, da subito tintasi d’ altro, a metà tra la realtà e la fiction, un ingrediente che pare stridere e alimentare l’ immaginazione di un inventore di storie, ma qui non c’è niente di inventato, per dissolversi misteriosamente come nella trama di un film lasciando la scena ad altri, senza un colpevole certo.