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L'altare della paura
 
L'altare della paura 2021-12-11 16:10:43 cesare giardini
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cesare giardini Opinione inserita da cesare giardini    11 Dicembre, 2021
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Il lato oscuro del fanatismo religioso.

In una zona collinare dell’Alsazia, ricca di vitigni, vive da secoli la comunità religiosa degli anabattisti, una setta isolata dal mondo esterno che ha la Bibbia come guida, pratica la non violenza e si battezza solo in età adulta. Gli Emissari (così si chiamano gli adepti, alcune centinaia) vestono abiti di stoffa grezza, portano cuffie ottocentesche, coltivano i vitigni del loro territorio servendosi anche di lavoratori esterni, stagionali, ed hanno rapporti esclusivamente tra loro, anche incestuosi: una sorta di “isola etnica”, con lo scopo, sostengono, di migliorare la razza con la consaguineità e “purificare” sempre più negli anni il loro DNA ma con l’inconveniente d’altro canto di generare non pochi neonati con evidenti malformazioni. Tutto sembra procedere quietamente da tempo immemorabile, lavori stagionali, vendemmie, riti e usanze avvolti da un alone misterioso e insondabile, quando, improvvisamente, un delitto viene a incrinare la sacralità della locale chiesa di Saint Ambroise: il vescovo Samuel, un importante adepto, è ritrovato schiacciato dal crollo della cupola, ma con ferite sospette e un pezzo di carbone in bocca. Entra in gioco la gendarmeria del paese vicino con i tre protagonisti del thriller: il commissario Niémans, un omone tutto d’un pezzo, instancabile, tutto dedito alle indagini, notte e giorno, poi la gendarme Stéphane Desnos, più riflessiva, un freno alle iniziative coraggiose del suo capo, infine Ivana, una poliziotta dal passato burrascoso, legata sentimentalmente al capo, infiltrata come stagionale nel territorio della setta per indagare e scoprirne segreti e misfatti. I segreti vengono poco a poco alla luce, gli Emissari praticano riti riconducibili ad affreschi tenuti nascosti, dipinti anni addietro da un famoso pittore, una specie di guru della setta: tali affreschi, tratteggiati con stile di epoca medioevale, alludono a macabri ed allucinanti eventi biblici, quali i rapporti incestuosi tra il vecchio patriarca Lot e le figlie, ed i sacrifici umani a Moloch, una divinità dell’Antico Testamento. Le indagini avanzano tra mille difficoltà, la stessa Ivana corre un pericolo mortale, altri delitti vengono scoperti: vengono alla luce i corpi di Jacob, il marito di una adepta, Rachel, e del medico legale del paese vicino, membro della comunitò, disponibile a falsificare documenti ed a celare misfatti. Infine l’orribile verità viene a galla, si scoprono le uccisioni rituali dei bambini malformati che avvengono alla fine della vendemmia, quando tutto quello che resta viene bruciato in roghi immensi. Il vero colpevole dei delitti viene finalmene alla luce, ha agito solo per vendetta e per salvare il suo piccolo dalla morte: una luce di salvezza e di speranza, che sembra irradiarsi su tanta malvagità.
Inutile dire che la trama è molto più complessa e articolata. Grangé è anche in questo romanzo un grande scrittore, preciso, ben documentato, magistrale nel descrivere ambienti e situazioni. Sembra di rivivere nei particolari le vicende narrate, ambientate in lande umide e piovose, grigie, allietate sì dai riti della vendemmia ma pervase da una permanente sensazione di estraneità al mondo circostante e da miscugli pervasivi di odori strani, odori di putrefazione e di morte. Si sa che l’autore è molto critico nei confronti delle religioni in genere, anche qui, tramite il personaggio del commissario che indaga, non esita a criticare riti assurdi, perversioni, credenze scellerate, sempre celate sotto un velo di apparente purezza e rettitudine.
Ottima anche la divisione del romanzo in tre parti: Il vigneto, Il sangue, Il fuoco, che sintetizzano magistralmente l’andamento degli avvenimenti, dai riti spensierati della raccolta al sangue dei delitti fino al fuoco purificatore dei roghi finali. Un cenno al titolo italiano del thriller: molto più pertinente ed allusivo il titolo originale francese “Le jour des ceindres”, il giorno delle ceneri.
Da un “altare della paura” può nascere solo disperazione, dalle “ceneri”, come insegna l’Araba Fenice, può sorgere la capacità di far fronte in maniera positiva alle avversità, proprio come fa presagire l’ultimo capitolo del romanzo.

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