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Omicidi all'ombra della casa degli Usher
Jack McEvoy è un giornalista. Come lui stesso ammette, la morte è il suo mestiere, infatti scrive per il Rocky Mountain News di Denver esclusivamente di omicidi e delitti contro la persona. I suoi articoli non sono meri rilanci di notizie di cronaca nera. Jack sviscera ogni volta la questione, con passione e impegno, cercando di mettere in luce tutti gli aspetti della triste vicenda, l’animo dei protagonisti, il contesto in cui si è verificato il fattaccio. Quando, però, la vittima di turno risulta essere suo fratello gemello, la prospettiva per lui muta radicalmente. Sean apparentemente sembra che si sia suicidato nella sua auto, davanti allo stesso lago ove, decenni prima, la sorellina maggiore sprofondò nel ghiaccio per cercare di aiutarli. Pare che Sean fosse in preda a uno stato depressivo per non essere riuscito a risolvere l’indagine su un omicidio brutale di una ragazza, tagliata in due dal suo carnefice. Ha lasciato pure un messaggio criptico: “Fuori dallo spazio, fuori dal tempo”. Inizialmente Jack si fa convincere ad accettare la tesi ufficiale, ma quando, proprio per metabolizzare la cosa, decide di scrivere un articolo sui suicidi tra gli agenti investigativi e inizia a informarsi, i dubbi aumentano. Molti, troppi poliziotti si sono (apparentemente) tolti la vita con un colpo in testa lasciando, come ultimo messaggio, un verso tratto dalle poesie di Edgar Allan Poe, esattamente come suo fratello. Possibile che esista un serial killer che ha come obiettivo i poliziotti e che li attiri in una tragica trappola ponendo come esca giovani vittime brutalizzate in modo orrendo?
Jack inizia la sua indagine personale, ma, inevitabilmente, ciò attirerà l’attenzione dell’FBI che prenderà le redini delle investigazioni. I federali, per evitare fughe di notizie, saranno costretti ad accettare Jack nella loro squadra, poi spulceranno ogni caso sospetto e scopriranno molti punti in comune in una mezza dozzina di apparenti suicidi. McEvoy, sarà combattuto tra l’istinto del giornalista, che gli suggerirebbe di pubblicare al più presto il suo scoop, ignorando ogni accordo con l'FBI, la pietà di fratello, che vorrebbe lasciar riposare in pace Sean e permettere ai suoi di elaborare il lutto, o, al più, trovare il suo assassino per punirlo di ciò che ha fatto, e l’improvviso amore che è sbocciato tra lui e l’agente speciale Rachel Walling una dei federali incaricati di trattare il caso.
Mentre Jack ci narra delle complesse operazioni di polizia volte a inseguire per tutta l'Unione il colpevole e catturarlo, assistiamo, dietro alle quinte, ai truci atti di un killer-pedofilo che si appresta a fare le sue prossime vittime.
Se fossi chiamato a fare una classifica dei migliori autori di thriller contemporanei, probabilmente Connelly finirebbe in uno dei primi posti se non proprio in cima, non solo perché le sue storie sono ben congeniate, i personaggi sono attentamente caratterizzati, l’ambientazione è accurata e pignolescamente documentata. No, Connelly è proprio dannatamente bravo a scrivere. Non si accontenta di fornirci un intreccio appassionante, non ci racconta solo una bella storia d’azione; vuole farci partecipi dei sentimenti dei protagonisti, vuole calarci nell’atmosfera che s’è inventato, vuole creare un’empatia tra noi e i personaggi letterari a cui ha dato vita.
Anche in questo caso tutto fila come in una macchina ben oleata. Forse, però, l’intreccio poliziesco ha preso un po’ la mano all’A. e appare curato meno che in altri casi lo studio piscologico dei personaggi, anche se tutta la vicenda gira proprio attorno alle turbe psichiche dei criminali.
Jack, come voce narrante, è puntuale e preciso, ma proprio perché è lui a raccontarsi, lascia sé stesso un po’ in ombra, non svela troppo del suo carattere, delle sue emozioni. Preferisce dare la preferenza ai comprimari che sono davvero tanti al punto che non è raro confondersi e faticare a capire chi sia a fare cosa. Altro piccolo sforzo intellettivo lo richiede l’ambientazione temporale. Il romanzo è della prima metà degli anni ’90, quando le tecnologie, che oggi ci appaiono fin troppo familiari, erano solo agli inizi della loro folgorante diffusione: Internet, telefonia cellulare, fotocamere digitali, trasmissione telematica dei documenti, pagamenti elettronici, etc. erano ancora strumenti acerbi e utilizzati o disponibili per pochi. Così, talvolta, ci si stupiscono i comportamenti di alcuni protagonisti, apparentemente impacciati o lenti a comprendere certe situazioni, almeno sinché non accettiamo di fare un viaggio a ritroso nel tempo per ricordarci di “com’eravamo”.
Tralasciando questi particolari, la storia è impeccabile, soprattutto perché odora di realtà e il desiderio di conservare un continuo pathos all'azione non va a detrimento della credibilità dei fatti narrati. Reputo che sia un valore aggiunto, poi, aver fatto collegare ai brutali assassinii di poliziotti le criptiche citazioni da Poe: oltre a conferire un’aura arcana e minacciosa alle circostanze, già di per sé cupe, nobilita il testo stesso. Personalmente sono stato spinto a leggere la produzione poetica di questo grande autore che, sinora, conoscevo solo per i suoi racconti.
Complessivamente, dunque, si tratta di un ottimo romanzo da gustare tutto d’un fiato e dal quale è difficile staccarsi. Semmai un unico appunto lo farei all’edizione che ho letto io. In essa compare una prefazione di Stephen King, il quale, forse un po’ troppo entusiasta di quanto doveva presentare, si lascia scappare un paio di commenti che se proprio non svelano l’epilogo almeno indirizzano il lettore sulla strada giusta per capirlo. Considerato soprattutto che, alla fine, il colpo di scena finale non arriva comunque molto inaspettato (è un assioma dei romanzi polizieschi che il meno sospettabile sia quello più da sospettare e, poi, Connelly, utilizza sempre gli stessi personaggi, quindi si fa presto ad accorciare la lista dei sospetti!) forse, una presentazione un pelino più criptica era auspicabile.
In ogni caso il libro è altamente consigliabile, non solo a chi ama il genere poliziesco.