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ROMANZO INTENSO CHE SI PERDE UN PO’ SUL FINALE
Per chi non avesse ancora letto il romanzo, premetto che quanto sotto riportato contiene anticipazioni, seppur vaghe, sul finale.
La drammatica vicenda dell’assassinio di una anziana usuraia e della successiva morte in carcere dell’unico imputato ingiustamente accusato del delitto vengono narrate con tono asciutto e misurato. Le emozioni, i pensieri, gli stati d’animo dei protagonisti sono appena accennati e riecheggiano piuttosto nelle descrizioni lievi e soffuse del fumo azzurrino di una sigaretta, della pioggia, delle luci serali, della nebbia. Ne viene fuori un quadro leonardiano, in cui alle atmosfere ovattate dell’ambientazione si contrappone il puntuale resoconto della cronaca giudiziaria e il nitido tratteggio dei personaggi.
Proseguendo, la trama si infittisce, acquisisce forza e intensità e riesce magistralmente a intrecciare storie e personaggi, in un crescendo di colpi di scena che tengono il lettore incollato al libro.
Nell’ultima parte del romanzo, il ritmo si smorza e la narrazione si fossilizza sul motivo della vendetta. Un dilungamento eccessivo che non trova sbocco in una evoluzione degli avvenimenti, delle relazioni, dei protagonisti.
Kiriko resta incardinata nella sua algida inflessibilità, la figura del giornalista sbiadisce, relegata ad un mero ruolo ancillare che non dà mai alcun impulso concreto alla storia, gli altri personaggi secondari vengono solo evocati. Resta sulla scena l’avvocato e la penna di Matsumoto si concentra sulla sua parabola discendente attraverso cui si compie la nemesi finale. Ma l’accanimento è tale che ne deriva una rappresentazione a tratti patetica, inverosimile, che un po’ dispiace.
Ad ogni modo, a parte le sbavature sul finale, “La ragazza del Kyushu” resta un ottimo romanzo, con una storia avvincente e una scrittura brillante che vale la pena leggere.