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Piton therapy
Questo è il romanzo d’esordio di una scrittrice norvegese, un thriller che magari ci sorprende, abituati come siamo a considerare i paesi scandinavi come il paradiso del vivere civile, la patria del socialismo ideale, dove educazione, correttezza, rispetto delle leggi ma anche molto di più, tolleranza, apertura mentale e progresso rappresentano i paradigmi indiscutibili su cui sono fondate l’etica ed il comune denominatore di vita della popolazione.
Dal che se ne deduce che il tasso di criminalità assuma un valore tale da non stuzzicare granché l’inventiva degli scrittori del genere. Manca la materia prima fonte d’ispirazione, quasi verrebbe da dire. Invece, molti autori che di recente vanno per la maggiore ci hanno mostrato che non è affatto così, sfornando testi gradevoli, piacevoli ed esemplificativi a mostrare che anche quelle società all’apparenza paradisiache nei comportamenti civili, celino storture comuni a quelli del resto del mondo. Partendo dai reati comuni, fino a giungere via via a quelli progressivamente più gravi come violenze e omicidi, i delitti, e di qui in diretta conseguenza il proliferare di racconti ad imitazione della realtà locale, quindi i gialli, i mystery, sono ormai divenuti di prassi, la regola e non l’eccezione.
In particolare, i romanzi di genere ultimamente si catalizzano sull’ osservazioni delle devianze giovanili, da un lato infatti le giovani generazioni nordiche hanno uno status economico sociale senza uguali rispetto ai coetanei d’altri paesi, dall’altra sempre più spesso al benessere fisico e sociale non s’accompagna pari gratificazione morale, con le conseguenze del caso.
Quello che caratterizza il libro della Ulstein è una certa originalità di interpreti, i suoi personaggi sono certamente quelli classici e comuni ad un tempo: un vecchio poliziotto, Roe, stanco e disincantato dalla professione, in cui pure eccelle per capacità di ascolto, sintesi e riflessione; una giovane ragazza, Liv, confusa su che direzione far prendere alla propria esistenza, persa tra progetti di studi, la convivenza con i giovani ed esuberanti colleghi con il conseguente corollario di feste e festicciole studentesche a base di alcool e fumo, le personali carenze affettive che la portano a distaccarsi finanche da un minimo di rapporto con la propria madre; Maram, donna in carriera abile, capace, professionale e di successo ma completamente frustata dal rapporto più che inesistente, sfuggente e fuori dalla sua abituale padronanza di luoghi e persone, con l’ unica figlia Iben prossima all’adolescenza, un rapporto talmente irriverente da spingere la donna, non abituata a simili reazioni, a puerili comportamenti stizzosi, che finiranno per ritorcersele contro.
Storie di ordinaria realtà, allora, storie di persone comuni che sembrano intersecarsi tra loro anche se su differenti piani narrativi temporali, quindi in apparenza nulla di particolare.
Se non fosse che a renderli e diversi, a caratterizzare libro e autrice, è il pet della storia.
Un pet in tutto e per tutto simile negli intendimenti e nell’economia della storia agli altri animali domestici che pullulano nelle storie poliziesche, inutile ricordare il cane lupo Rex o l’adorato siamese di Nero Wolfe. Solo che questo pet è un serpente, Nero, un bell’esemplare di giovane pitone.
Esattamente un pitone, uno di quelli che inghiottono un topolino in un solo boccone, tenuto in casa da Liv come il cucciolo di casa, e questo serpente fa un po' da trait d’union, unico e originale, tra tutti i protagonisti della storia, vengono sottoposti tutti ad una Piton therapy efficace da un punto di vista della risoluzione del giallo. Perché i serpenti hanno la particolarità che periodicamente cambiano pelle, fanno la muta, quasi si spogliassero delle vite precedenti e nascessero ogni volta purificati.
Un assassino, un delitto, invece no, il male per quanti abiti muti, sempre cattivo rimane.
Il male non è un qualsiasi serpente, anzi, un buon pitone.
È una costante, come tale riconoscibile con facilità, resta uguale a sé stesso, non si rivitalizza mutando pelle, resta sé stesso con la stessa veste decrepita.
L’idea di partenza quindi è buona, la storia è ben scritta, anche con bello stile, è come viene sviluppata che mi lascia più di una perplessità. Mi aspetto di più da un prodotto di genere.
La storia fluisce bene, all’inizio lenta, dettagliata ma non contorta e involuta, magari incuriosisce, ma ecco, non è avvincente in senso stretto, sembra sempre che prima o poi spicchi il volo per portarti in alto, tenendoti incollato alle pagine, magari ti consoli nel pensiero che il finale riscatti il tutto trascinandoti in un tourbillon di emozioni. Può piacere anche così, certamente, in sintesi non è una cattiva lettura, ma uno da un noir vorrebbe non dico farsi terrorizzare, ma farsi scuotere sì.
Ma non accade, e un poco mi spiace, ci contavo, dopotutto uno si affeziona a Nero.
Ma Nero è una cosa, un noir è altro.