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Un assassinio freddo come il ghiaccio
Nei primissimi anni del novecento l’attenzione di una coppia di coniugi che passeggia nel centro di New York è attratta da uno strano tipo che, uscendo frettolosamente dall’hotel Clermont, si pulisce le mani nella neve. Nel frattempo, all’interno del lussuoso albergo è scoppiato il finimondo: in una delle salette interne l’avvenente, ricca signorina Edith Challoner è caduta a terra, morta. Un primo esame mostra una ferita all’altezza del cuore come prodotta da un colpo d’arma da fuoco o da un acuminato stiletto. Ma nessuno ha udito spari o ha avvicinato la ragazza. Si è trattato forse di un suicidio? Ma dov’è l’arma con cui è stato commesso? Il tagliacarte di Edith è stato trovato a metri di distanza, completamente pulito. Il padre, Mr. Challoner, e l’investigatore della polizia Sweetwater non credono al verdetto della commissione istruita dal coroner: Edith era piena di vita e, data anche la sua religiosità e morale, non può essersi uccisa. Tra l’altro era pure teneramente innamorata di un misterioso O.B.; chi mai può aver commesso quel delitto?
Inizia così una lunga, faticosa caccia all’assassino, che si dimostra astuto e spregiudicato. I tenaci investigatori faticano a trovare le prove a suo carico che ne dimostrino la colpevolezza, mentre l’uomo sembra farsi beffe di loro.
Anna K. Green è ritenuta una delle pioniere del poliziesco, famosa molto prima della Christie. I suoi romanzi hanno aperto, nella letteratura di questo genere, molte strade poi ripercorse dai numerosi epigoni.
In particolare, questo libro (pubblicato per la prima volta nel 1911) non è il classico enigma poliziesco nel quale il lettore è chiamato a scoprire chi sia l’assassino. Al contrario il presunto colpevole, seppure col beneficio del dubbio, ci viene presentato assai presto. Tuttavia mancano totalmente gli indizi sul modus operandi e sarà questa ricerca a impegnare gli investigatori.
Interessante il metodo narrativo utilizzato, che si avvale di due diverse voci narranti. Nella prima parte ascoltiamo il resoconto in prima persona della signora Laureen Anderson la quale, assieme al marito George, può essere considerata la timida antesignana delle coppie di coniugi investigatori, che avranno il loro archetipo in Nick e Nora Charles (de “L’uomo ombra” di Dashiell Hammett) e, in seguito, tanti epigoni nel cinema e in televisione. Le restanti due parti, invece, sono narrate in terza persona da un più distaccato punto di vista. Questa parziale discrasia, però, non disturba più di tanto e lo stile, in generale, è garbato e fluido.
Inevitabile invece che il lettore moderno noti le palesi ingenuità e le involontarie assurdità nel meccanismo criminoso. Senza addentrarmi nell’argomentazione, per ovvi motivi, non posso non osservare, però, come l’arma del delitto sia del tutto assurda e non reggerebbe a una banale confutazione scientifica. Peraltro anche l’indagine poliziesca appare poco credibile. Per quanto sia accettabile che gli inquirenti, muovendosi spesso in un ambiente di persone altolocate e influenti, usino modi ricchi di tatto e discrezione, troppo spesso essi appaiono imbarazzati e confusi come un paio di scolaretti invitati a un the a corte. Altra palese semplificazione, scusabile solo perché l’A. era ragazza “di buona famiglia” e, forse, aveva una visione distorta ed edulcorata della realtà, è la suddivisione decisamente manichea dei protagonisti: gentiluomini e gentildonne, incapaci di concepire il male e dediti solo ad opere buone e caritatevoli, il “popolino” brutale e istintivo, il criminale, un folle invasato.
Ignorati questi difetti, presenti, peraltro, anche in opere più altolocate, e giustificati dalla novità di quel genere letterario, la storia risulta abbastanza gradevole e, seppure non ci si debba aspettare grandi sorprese finali, si legge con interesse sino alla fine.
A volte, è vero, il ritmo della narrazione si fa lento e prolisso, e la narrazione si perde in rivoli meno coinvolgenti. Però, va riconosciuto alla Green il merito di aver concepito un’indagine sostanzialmente credibile, con tutte le difficoltà della vita reale, e di aver esplorato il filone narrativo giallo in modo innovativo e fantasioso.