Dettagli Recensione
Un Bradbury Kinghiano
Ogni opera che leggo di Bradbury è per me un passo verso due convinzioni: numero uno, è da considerare uno dei più grandi autori moderni; numero due, il genere di romanzo non sempre ne determina il grado di altezza letteraria. Bradbury era uno scrittore in grado di spaziare in un numero impressionante di generi, e chi lo definisce scrittore di fantascienza forse non ha letto altro che “Fahrenheit 451” e forse “Cronache Marziane”, ma gli basterebbe allargare lo sguardo alla sua sconfinata produzione di racconti o anche soltanto leggere “L’estate incantata” e questo “Il popolo dell’autunno” per capire che era molto di più e che i generi non erano per lui altro che un mezzo per esprimere poesia, per sviscerare temi di grande profondità e addentrarsi nelle emozioni umane.
“Il popolo dell’autunno” può definirsi un horror-fiabesco i cui toni ricordano tantissimo le opere del primo Stephen King, che dopo questa lettura sono pronto a scommettere considerasse Bradbury come una delle sue fonti di ispirazione. Quale sarebbe la reazione di un lettore un po’ pregiudizioso, quando gli si presentasse davanti un’opera appartenente a questo genere? Affermazioni come: “roba per ragazzini che amano il brivido” sarebbero un qualcosa di tanto prevedibile quanto errato. Sebbene ci metta un po’ di tempo a ingranare, “Il popolo dell’autunno” è Bradbury allo stato puro, nella sua prosa inconfondibile e costellata di figure retoriche e accostamenti evocativi, capace di trasportare il lettore in una dimensione fiabesca e poetica. Certo, la storia che ci viene raccontata intrattiene e contiene in sé gli elementi che erano tanto cari allo scrittore stesso in ciò che leggeva e guardava al cinema, ma la sua grandezza sta nell’insinuare all’interno di queste storie che potrebbero raccontarsi intorno a un fuoco un messaggio profondo, una risposta ad alcuni interrogativi della vita quali possono essere: “che cos’è la Paura, e come la si può combattere?”, “lo scorrere del Tempo è davvero qualcosa di così inesorabile, contro il quel non possiamo opporre nulla?”. Con questa storia che ci racconta l’arrivo di un macabro luna park in una tranquilla cittadina, Bradbury prova a sviscerare queste e altre domande e lo fa nel modo più efficace possibile: con un racconto che possa avvincerci e incantarci, con un’abilità che lui e pochi altri sono riusciti a far propria. Oltre a questo, riesce a trasmettere questa poesia esprimendo un punto di vista ottimistico, mostrando una gioia per la vita che nella letteratura è rarissima soprattutto quando si intende sondare le profondità della vita stessa.
Forse “Il popolo dell’autunno” non raggiunge i picchi di bellezza de “L’estate incantata” o di alcuni racconti di “Cronache Marziane”, ma è un altro meraviglioso tassello nella produzione di questo autore che, ormai, è saldo nell’Olimpo dei miei preferiti.
“Qualche volta l’uomo che sembra il più felice del mondo, con il sorriso più ampio, è quello che porta il maggiore carico di peccato. Ci sono sorrisi e sorrisi; impara a distinguere la varietà buia da quella luminosa. Colui che abbaia come una foca, che urla le sue risate, quasi sempre sta fingendo. Se l’è spassata ed è colpevole. […] D’altra parte, quell’uomo infelice, pallido, chiuso, che sta passando, che appare tutto colpa e peccato, spesso e un brav’uomo con la B maiuscola, Will. Perché essere buoni è un impegno spaventoso; gli uomini vi si affaticano e qualche volta si schiantano. Io ne ho conosciuto qualcuno. Fai doppia fatica a essere un agricoltore che a essere il suo maiale.”
Indicazioni utili
Commenti
2 risultati - visualizzati 1 - 2 |
Ordina
|
è proprio questo che mi dispiace di autori come Bradbury, e di lui soprattutto: sono considerati ingiustamente commerciali perché magari scrivono storie di un determinato genere. Magari sarò blasfemo, ma lo griderei anche in mezzo a circoli di intellettuali: Bradbury è uno dei più grandi autori moderni.
2 risultati - visualizzati 1 - 2 |