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Later
 
Later 2021-04-23 11:19:56 Bruno Izzo
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Bruno Izzo Opinione inserita da Bruno Izzo    23 Aprile, 2021
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La luce in fondo al tunnel

“Questa è una storia dell’orrore.”
Non lo affermo io questo assioma, questa frase così com’è lo stesso autore la riporta più volte in questo libro: e non potrebbe essere altrimenti, datosi che si parla del Re di questo genere di racconti, Stephen King. Ma definirla solo una storia dell’orrore, è riduttivo; è invece un romanzo, un bel racconto di vita americana di chi quel paese, e i suoi abitanti, li conosce bene e li osserva attentamente, con occhio critico, giudizioso, vedendo ben oltre le apparenze.
È un libro scritto bene, leggerlo è facile, scorre piacevolmente, con uno stile inconfondibile che ti fa “vedere” le scene, ti fa “sentire” i dialoghi, ti impressiona, e magari ti spaventa, ma se lo fa, è solo una diretta conseguenza della capacità dell’autore di immergerti nella storia e fartela vivere.
Non solo, ma non è una scrittura fine a sé stessa, possiede una morale sottintesa ma chiara, etica, fondante, un attributo comune da mezzo secolo negli scritti migliori, quasi tutti, di Stephen King.
Gli anni passano, ma lo scrittore del Maine è sempre seguito da milioni di appassionati in tutto il mondo, ed a ragione, con pieno merito.
Perché forse King non è proprio paragonabile al buon vino che invecchiando migliora sempre e comunque, dopotutto qualche pinta acidula gli sarà pure capitata a seguito di qualche distillazione non perfettamente riuscita, forse qualcuno delle sue ultime uscite non avrà riscosso unanime consenso, ma qui e ora con “Later”, ancora dopo mezzo secolo, Stephen King sbriga alla perfezione il lavoro che gli riesce meglio e che gli piace fare a lui per primo, per proprio piacere, che casualmente coincide con quanto i suoi fan gli richiedono: inventa buone storie, e le scrive ancora meglio.
Tra l’altro, quello che ogni buon scrittore dovrebbe saper fare.
Chiunque può capirlo “later”, dopo, al termine di questa lettura.
Stephen King è un uomo posseduto da una ossessione, quella di inventare storie, narrarle come un buon affabulatore, e quindi per farlo scriverle bene; ed è un’ossessione che piace, e che vende.
Ancora una volta King ci presenta una storia con due punti fermi, presenti in molti tomi della sua produzione, specie ai suoi esordi, e che hanno contraddistinto le sue opere più fortunate: un giovanissimo, ed un evento insolito.
Un preadolescente, per lo più, costantemente alle prese con un fenomeno oltre lo scibile umano, non inquadrabile nella sfera della pura razionalità, ma non per questo meno reale e concreto per chi lo vive.
Per chi lo vive, appunto i giovani protagonisti, e per chi lo gusta, i fedeli lettori, disposti a credere in King e nella sua arte, e da lui e dalla sua scrittura condotti alla volontaria sospensione dell’incredulità.
In “Later” racconta in prima persona Jamie Conklin, detto “Campione”, ora adulto, e quindi in uno stato, una dimensione di “later”, di dopo; narra di sé stesso da bambino, poi da ragazzino, quindi preadolescente, di quando non era ancora un adulto, non ancora come gli adulti traviati dalla materialità del vivere che sempre si accompagna alla crescita.
Un piccolo protagonista che proprio perché tale, proprio perché gli anni in cui l’animo è “tabula rasa”, non ancora corrotto da schemi preconcetti, pregiudizi e regole strutturali strettamente razionali, ferree e rigide ha la capacità di “sentire”, di “credere”, di “gestire” con il massimo della normalità e della credibilità fenomeni che un adulto attribuirebbe senza remore ad uno stato di ubriachezza pesante o di stordimento da stupefacenti, fino alle più gravi manifestazioni delle peggiori malattie mentali.
Perché la prima giovinezza è un’età magica, sono gli anni della sensibilità spiccata, della massima ricettività a stimoli ed impressioni lievi, eteree, oltre le dimensioni sensoriali avvertibili, un’epoca propensa e propizia, direi dedita anima e corpo alla disponibilità a credere reali anche gli eventi che risulta impossibile da spiegare.
L’ingenuità, il candore, l’innocenza, la schiettezza e la lealtà del momento li spingono alla fede cieca nella credenza, credono in quello che vedono e che avvertono oltre l’evidenza, qualunque evento sia, anche se gli adulti, limitati dalla razionalità, non riescono ad avvertire né tanto meno a crederci.
“Credere a cose come queste è un ostacolo non semplice da superare, tanto più per le persone intelligenti. Perché le persone intelligenti sanno un bel po' di cose, e forse finiscono per credere di sapere tutto.”
Jamie Conklin gestisce il fenomeno paranormale che avverte con la stessa naturalezza cui King ci ha già abituati, Jamie non differisce di molto dagli altri ragazzini protagonisti dei libri più fortunati di King, da Carrie White di “Carrie” che ha il dono, o il talento o la dannazione che dir si voglia, della psicocinesi, a Danny Torrance di “Shining” con la sua telepatia, a Charlie McGee di “L’incendiaria” in grado di appiccare il fuoco con il pensiero fino al più recente ragazzino prodigio, e telecinetico e telepatico per soprammercato, Luke Ellis de “L’istituto”.
King ha una prerogativa che lo rende unico: ha conservato intatto l’incanto della sua fanciullezza.
Ecco il motivo della sua empatia per i piccoli adolescenti, la sensibilità e l’acume con cui li descrive, in fondo lo scrittore americano descrive sé stesso, come si comporterebbe dinanzi a certi eventi.
A riprova della sua particolare sensibilità ha descritto magistralmente anche di adulti con qualche coscienza particolare, mirata al bene, alla bontà, all’umanità, perché sono adulti ma con la purezza, l’onestà, l’etica, l’innocenza e la capacità di credere e vivere in pieno certi valori, con l’entusiasmo travolgente tipica degli adolescenti, sono questi i tratti caratteristici degli Stu Redman ed i Larry Underwood di “The Stand”; sono ragazzini infantili mai arrivati all’adolescenza o arrivateci male, anche certi personaggi negativi, sfortunati, vittime loro malgrado come l’Annie Wilkes di “Mistery”.
Qual è il fenomeno paranormale, il dono, il talento, la dannazione, che caratterizza il protagonista di “Later”? Esattamente quanto suggerisce il titolo, ha a che fare con “later”, il dopo.
Jamie Conklin fin dalla più tenera età convive con una particolare capacità, niente di che, grosso modo la stessa per intenderci del piccolo Cole del noto film “Il sesto senso” di Shyamalan, in qualche misura riconducibile volendo anche al “fatto” che si verifica nelle indagini del commissario Ricciardi nei romanzi di Maurizio de Giovanni, ma molto meno truculento di quello.
“Alle cose incredibili si finisce per fare l’abitudine. Fino a darle per scontate”.
In sintesi, Jamie può ascoltare la voce delle persone, dapprima in maniera chiara, e poi in forma fievole, sempre più sfumata fino a scomparire del tutto, prima che le stesse si dirigano verso la luce in fondo al tunnel, traversandola definitivamente. Può anche interagire, chiedere, porre domande, sapendo che in quello stato le risposte saranno obbligatoriamente sincere.
“Devono dire la verità, quando sono morti.”
Niente di orrorifico, in tutto questo; Jamie vive con naturalezza questa sua capacità innata, proprio perché la possiede naturalmente da sempre, è nella sua natura, come è naturale per lui andare a scuola, giocare con gli amici, essere figlio di mamma single, vive con spontaneità, saggezza, maturità e serena accettazione anche l’orientamento sessuale diverso del proprio genitore e la presenza nel suo quotidiano della compagna della madre, tra l’altro una poliziotta, subendo il fascino che questa professione esercita sulla fantasia di un bambino. Un bambino intelligente:
“A quattro anni sapevo già leggere come un bambino di terza elementare, mia madre ne andava molto orgogliosa”
Come un bravo bambino saggio e ubbidiente ai dettami e alle raccomandazioni materne, la sola a cui ha confidato da subito quanto la donna aveva già intuito, Jamie si guarda bene da sbandierare ad altri il suo talento, attento e guardingo perché nessuno ne abbia il minimo sentore, conscio che non sarebbe creduto o, al limite, sarebbe con facilità etichettato come strambo o malato di mente.
Oltretutto, questa capacità non gli nuoce in nessun modo, nemmeno al suo equilibrio interiore: Jamie non ha certo a che fare con fantasmi, demoni, mostri o simili. Neanche vuole provocarli o in qualche modo richiamarli, sfruttarli, risvegliarne l’attenzione ai propri interessi:
“…un vampiro non può apparire a meno che non sia tu a invitarlo”.
Interagisce con chi non può più fare o fargli alcun male, chi è “later”, è nel dopo, mentre invece il male è prima e adesso. Ciò che appare a tutti impossibile, per il bambino e per il suo animo candido è una realtà concreta, ha una sua logica, la si può vivere con estrema naturalezza.
Per un bambino, per un adulto invece no.
Un adulto un talento come il suo lo sfrutta senza scrupoli all’occorrenza, lo sporcano per biechi e miseri fini personali, e gli adulti infatti lo sfruttano, ad iniziare dalla stessa madre, e dalla di lei compagna, di qui l’orrore, o sarebbe meglio dire l’egoismo, la crudeltà, la meschinità, l’efferatezza del mondo adulto che ne consegue, che costituisce, questo sì, il vero horror dei romanzi di King.
Non è un pagliaccio impossibile ad esistere e che vive nelle fogne che suscita orrore, ma un padre, un adulto reale e razionale, incestuoso e pedofilo che insidia la propria figlia ragazzina; non è un bambino che vede e parla con una persona morta a spaventare, ma suscita sgomento chi fa diventare morta una persona, piantandogli una pallottola in testa davanti ad un bambino, per di più costringendo il piccolo ad assistere a tale scempio.
King non si smentisce; scrive sempre con il suo stile scorrevole ed avvincente, si prende sottilmente in giro da solo accennando al suo lavoro:
“……scoprii che moltissimi scrittori erano morti alla loro scrivania. Dev’essere un mestiere ad alto rischio, evidentemente.”
Ci racconta sorridendo i “dietro le quinte” del mondo dell’editoria a proposito dei best seller, si sbizzarrisce un po' con le procedure e i modus vivendi degli ambienti polizieschi, come ha fatto di recente con i romanzi della saga di “Mr. Mercedes”, ma è sempre lui, è sempre bravo, riesce finanche a stupirci con un “coup de théâtre” finale a proposito della paternità di Jamie.
Stephen King è sempre lo stesso, ma non si ripete mai:
“Tutti noi cambiamo e al tempo stesso non cambiamo. Non posso spiegarlo. È un mistero”.
Che tanto mistero non è. Lui è il Re.


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Stephen King, of course
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