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Romanzo di formazione
DonnaTartt ha impiegato circa dieci anni per dare alla luce quest’opera di quasi 900 pagine. Ed in qualche modo questa lunga gestazione viene percepita man mano che si procede nella lettura, rivelando un’accuratezza, una profondità che ruota tutta attorno alla figura di Theo Decker, giovane adolescente che all’improvviso si ritrova senza madre a seguito di un evento terribile, tragico ed imprevedibile: lo scoppio di una bomba, un attentato terroristico all’interno del Metropolitan Museum di New York proprio mentre madre e figlio si trovavano lì a visitare una mostra temporanea di pittori fiamminghi, tra i quali spicca la celebre opera de “Il cardellino”, quadro secentesco del pittore fiammingo Fabritius che suscita un immediato magnetismo agli occhi del ragazzo (“Era una piccola creatura ritratta senza artificio né sentimentalismo; e qualcosa, nel modo compatto con cui se ne stava ripiegata su sé stessa- la sua luminosità, l’espressione vigile e all’erta- mi ricordò alcune fotografie di mia madre da bambina: un cardellino anche lei, con la testa scura e lo sguardo fermo”). Da questo momento in poi la vita di Theo scorrerà in una simbiosi profonda, ossessiva, con questa opera emblematica, misteriosa (“Chissà perché Fabritius ha dipinto il cardellino?”) con la quale si identifica (“Perché, se sono i nostri segreti a definirci, allora il quadro era il segreto che mi elevava al di sopra della superficie dell’esistenza e mi permetteva di conoscermi per quello che sono”) e che assurge simbolicamente a rappresentare ricordi, nostalgie, memorie di un qualcosa che la vita gli ha tolto bruscamente ed inaspettatamente. L’affetto di una madre, l’assenza incolmabile del genitore prediletto che si aggiunge alla precedente assenza di un padre inaffidabile, distratto, egoista ed ubriaco, che pur manifestatosi nuovamente per colmare il vuoto lasciato dall’altro genitore risulterà in ogni caso incapace di costruire un legame empatico con il figlio.
Il cardellino è prima di tutto però un romanzo di formazione, una storia di sofferenze e assenze famigliari, di amori non vissuti e di solitudini, mitigate però da un rapporto di amicizia quasi fraterno tra Theo e Boris. Due ragazzi troppo simili, entrambi caratterizzati da carenze affettive, che si completano a vicenda e che trovano nell’uso smodato di droghe ed alcol quel necessario e indispensabile stordimento per superare la quotidianità. Allo stesso tempo è anche un romanzo con una morale e la Tartt si serve del suo protagonista per raccontarla e comunicarla, rivolgendosi ad un ipotetico lettore destinatario di questa storia svelata dal Theo adulto, in prima persona, a distanza di anni:
“E sento di avere qualcosa di molto serio e urgente da dirti, mio inesistente lettore…….Che la vita – qualunque cosa sia- è breve. Che il destino è crudele ma forse non casuale. Che la Natura (intesa come Morte) vince sempre ma questo non significa che dobbiamo inchinarci e prostrarci al suo cospetto. Che forse anche se non siamo sempre contenti di essere qui, è nostro compito immergerci comunque entrarci, attraversare questa fogna, con gli occhi e il cuore ben aperti”.
Leggere Il cardellino, pur nella scorrevolezza di cui gode il romanzo, non è comunque un’impresa sempre facile in quanto in diversi momenti ho provato quasi una sorta di fastidio nell’eccessiva lentezza di certi passaggi, nei rallentamenti della narrazione per dare spazio alle vicende dei tanti personaggi più o meno di contorno, nel soffermarsi dell’autrice su particolari che in qualche modo dilatano lo svolgersi degli eventi e che a mia personale opinione possono impattare non certo sul contenuto dell’opera, che si definisce complessivamente notevole, bensì sulla sua gradevolezza. In ogni caso rimane un romanzo che arriva al lettore anche (e soprattutto) a distanza di tempo perché va metabolizzato e analizzato a mente fredda.
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