Dettagli Recensione
Maledette marchette
Quando ho scelto di leggere questo romanzo non avevo ancora letto le marchette poste sulla quarta di copertina. Secondo il New York Times, Ian McGuire è un “Dickens coniugato al presente”, mentre per Philipp Meyer - che dopo quest’affermazione diventa un autore che probabilmente non leggerò mai - lo definisce “un autore tra Cormac McCarthy e Raymond Chandler”. Con sole due marchette hanno scomodato due dei miei autori preferiti e uno che è sulla strada per esserlo
3x2.
Ma queste affermazioni sono davvero appropriate? Per me, no: di Cormac McCarthy questo romanzo non ha assolutamente niente, né nello stile né nei contenuti, mentre di Dickens si possono (forse) distinguere gli echi nelle descrizioni che chiamano in causa tutti i cinque sensi, mentre nella caratterizzazione del protagonista O’Connor v’è un timido tentativo di imitare il carisma del Marlowe di Chandler. Come ho già detto in passato, questi paragoni insensati e messi al solo scopo di vendere hanno nel lettore che conosce gli autori un effetto opposto: lo irritano e lo portano a giudicare il romanzo in maniera più severa di quanto probabilmente avrebbe fatto. Buono per le vendite, non per l’autore che si trova a fronteggiare paragoni scomodi e inclementi.
Tralasciando questo, “L’astemio” è un romanzo ben scritto, ma non molto di più. Lo stile è altalenante, in certi tratti di buon livello con dei brani anche piuttosto belli, ma in certi altri dà l’impressione di non avere a che fare con un autore super-acclamato (quale sembra essere Ian McGuire) ma con un esordiente: questo traspare soprattutto nei dialoghi, che sono spesso artificiosi, con diverse espressioni banali o innaturali. Probabilmente sono le descrizioni il punto di forza dell’autore, ma questo non basta a reggere una trama non troppo appassionante e dei personaggi non abbastanza forti e carismatici.
La trama ruota attorno a un evento realmente accaduto, ovvero l’impiccagione di tre feniani (membri della fratellanza repubblicana irlandese) per l’uccisione di un poliziotto inglese. In seguito a questo avranno inizio una serie di eventi che, in breve, vedono come protagonista un mercenario americano (avvolto da un’aura leggendaria) arrivato a Manchester per portare scompiglio nella città a nome dei rivoltosi irlandesi. A cercare di evitare la catastrofe (qualsiasi essa sia) dovrà intervenire O’Connor, poliziotto irlandese trasferito da Dublino a Manchester per i suoi problemi di alcolismo.
Tra le pagine si avverte il tentativo dell’autore di dare una diversa profondità alla sua storia, e il tentativo supremo viene fatto con un finale che, tuttavia, non mi ha lasciato molto più che perplessità.
Mi sa che McGuire dovrà tentare ancora…
“Sono i morti che comandano, pensa, adesso e sempre. Ogni passo avanti è un passo in quella direzione, ogni svolta è parte dello stesso circolo, e quello che chiamiamo amore o speranza è solo un interludio, un modo per dimenticare quel che siamo.”