Dettagli Recensione
A volte è nel meno che sta il più
«Ci sono momenti in cui con tutti gli atomi del nostro corpo intuiamo che c’è qualcosa di sbagliato.»
Tutto ha inizio con una telefonata in piena notte. È il commissario dalla carenza linguistica finlandese Joona Linna al ricevitore in quel di quell’otto di dicembre; un delitto efferato richiede la sua competenza, richiede la presenza di Erik Maria Bark, colui che sino a dieci anni prima era considerato il miglior ipnotista della Svezia. È necessario un suo intervento, è necessario mettere sotto ipnosi Josef Ek, quindicenne, unico sopravvissuto allo sterminio della sua famiglia brutalmente uccisa da uno spietato killer. È necessario sottoporlo a ipnosi nonostante le sue precarie condizioni e gravi ferite perché sua sorella maggiore, non presente al momento delle uccisioni, in casa è ancora viva e in un luogo sconosciuto. Che possa essere stata lei l’artefice delle morti? Che possa trovarsi a sua volta in pericolo? Che l’omicida possa essere sulle sue tracce ed essere dunque lei la prossima vittima? Tanti gli interrogativi e tante le perplessità che ruotano attorno a questi decessi che portano Joona Linna a richiedere l’intervento di Erik ed Erik a rompere la sua promessa e a procedere con quella ipnosi che non pratica più da un decennio. Tuttavia, ciò che viene a scoprire va ben oltre le aspettative e soprattutto il preventivabile perché talvolta vittima e carnefice possono anche essere la stessa persona, e in questi casi, la situazione può prendere pieghe inaspettate. Erik lo scoprirà a sue spese quando, nel bel mezzo di una crisi coniugale con la moglie Simone, dovrà mettersi alla ricerca insieme al commissario, di Benjamin, suo figlio adolescente emofiliaco che verrà rapito durante la notte in casa sua. Da qui l’indagine del presente si ricollegherà al passato e avrà inizio un lungo excursus nei ricordi dell’ipnotista e al contempo scopriremo le ragioni che lo hanno portato a smettere di esercitare nonché alla frattura del suo matrimonio.
Che dire, i presupposti per riuscire ci sarebbero stati tutti se la coppia Lars Kepler non avesse teso a esagerare sotto alcuni aspetti. In primo luogo la parte relativa alla vicenda dell’uccisione della famiglia si snoda per oltre 240 pagine e quando arriva a comprendere anche la sparizione di Ben, il lettore è sfiancato. Sfiancato da un continuo protrarsi di una inchiesta che sembra ruotare su se stessa ma che ha già dato i suoi frutti e spiegato i suoi perché. Oltretutto alcune scene sono semplicemente inverosimili, vedi tra tutte e a titolo di esempio quelle relative a un adolescente con ferite multiple, shock cardiaco e una grave lesione al fegato che si rimette in piedi nell’arco di una manciata di giorni. Ma a prescindere da ciò, che può essere anche la scelta di un artifizio narrativo, a risultare forzato è pure ciò che accade nella seconda metà dell’opera. Si noti bene che quando si giunge alla sparizione del figlio non siamo ancora alla metà dello scritto. Da qui inizia una doppia indagine nella doppia indagine: perché se in una prima battuta abbiamo un primo omicida da trovare, qui abbiamo un secondo possibile rapitore che può combaciare o meno con il primo omicida ma che riporta al passato e che porta i protagonisti a un’altra indagine ancora portata avanti da una doppia voce e cioè da un lato da Joona e Erik e dall’altro da Simone e il padre. Un po’ troppo, a mio avviso, per non appesantire una narrazione con già un buon numero di elementi del thriller.
A ciò, ancora, si aggiunge una violenza disseminata e gratuita che permea tutto il componimento: dai giovani adolescenti filonazisti o comunque rabbiosi che a ogni angolo sembrano essere appostati e capaci di incutere terrore, a stalker e maniaci sessuali incontrati sulla metro o in visita nei luoghi di lavoro, a una macabra violenza che si propone anche nel modus operandi in cui le uccisioni hanno luogo. Nel finale, in particolar modo, si eccede a dismisura con ciò e se anche tutto questo è giustificato dai soggetti agenti e dalla loro particolare condizione, il risultato è quello di un’asticella spinta troppo e che fatica a essere apprezzata.
Al tutto si somma ancora uno stile narrativo estremamente descrittivo, tecnica narrativa già riutilizzata dagli stessi autori e da altri contemporanei che però fatica a suscitare empatia e anzi sfianca, nonché una ripetizione esasperante di alcuni comportamenti dei protagonisti che non convince. Se da un lato abbiamo un medico con una forte dipendenza da farmaci non riconosciuta, dall’altro abbiamo una donna che con questa mancanza di fiducia, per quanto plausibile e comprensibile nel reale, tende a respingere il lettore.
In conclusione, il thriller ha una buona potenzialità ma nel voler stupire e uscire dalla moltitudine di quel che oggi è uno dei generi più gettonati in assoluto, i due autori hanno forzato troppo danneggiando la piacevolezza di uno scritto che se più corto (conta esattamente 585 pagine in edizione Tea) e snellito avrebbe davvero potuto tenere con il fiato sospeso gli amanti del genere. Purtroppo, la ridondanza, la trama troppo caricata, le eccessive descrizioni e il voler far troppo ne hanno influito sulla piacevolezza. Di questo risentono anche i personaggi che perdono nelle loro caratteristiche peculiari quali ad esempio Linna nella sua ironia, tratto che lo aveva reso appetibile alla conoscenza. Ed è un peccato perché ho letto altre opere di questi scrittori molto più bilanciate e attente anche a tematiche attuali quali lo sfruttamento o la violenza su minori e donne.
A volte è nella linearità e nella semplicità che vi è la formula di un buon e indimenticabile libro. A volte è nel meno che ci sta il più.
Indicazioni utili
- sì
- no
No = a chi ama altri generi o ha letto altre opere dei coniugi.
Commenti
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Per quanto l'incontro tra la narrativa di genere e la vera letteratura sia molto raro, anche nel giallo, nel noir, nel poliziesco, troviamo scrittori validi.
Categoria alla quale secondo me non appartengono i due coniugi svedesi che, tra titoli non sufficienti ("L'ipnotista", "L'esecutore"), libri orrendi ("Il porto delle anime") ed altri maggiormente bilanciati ("La testimone del fuoco", "L'uomo della sabbia"), mi hanno sempre trasmesso una sensazione di inverosimiglianza, esagerazione e ridondanza, come hai correttamente sottolineato.