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La bionda di cemento
 
La bionda di cemento 2020-12-07 16:16:43 FrancoAntonio
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FrancoAntonio Opinione inserita da FrancoAntonio    07 Dicembre, 2020
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La giustizia è una donna di pietra

Harry Bosch è un poliziotto duro, plasmato dalle crudeli esperienze giovanili e da un lavoro (alla Omicidi e Rapine) che lo ha portato a vedere le peggiori brutture della sua città, Los Angeles. Non si ferma davanti a nulla pur di raggiungere il fine che si è prefisso: così, per lui, non è un problema il muoversi oltre i limiti che la legge gli imporrebbe di rispettare. In pratica è il classico figlio di p… (di nome e, purtroppo per lui, pure di fatto) che va dritto all'obiettivo senza curarsi di ciò che travolge al suo passaggio. Ma è anche uno degli ultimi poliziotti che considerano ciò che fa una missione e non solo un lavoro per sbarcare il lunario: per lui è l’unico modo per cercar di ramazzar via un po’ della sporcizia che insozza la città che ama.
In passato ha diretto il turno di notte della squadra speciale incaricata di individuare e bloccare il cosiddetto Fabbricante di bambole: un mostruoso serial killer che uccideva barbaramente prostitute, spogliarelliste e porno star e, poi, le truccava come grottesche bambole di carne, abbandonandole dove potessero essere rapidamente scoperti i corpi.
Una notte Bosch, a fine turno, rispose alla telefonata di una prostituta che diceva di essere appena sfuggita al mostro. Poco convinto, si recò assieme a lei nel posto indicato e, senza aspettare i rinforzi, fece irruzione. Sorprese un uomo, completamente nudo, in camera da letto. Costui non si bloccò alle sue ingiunzioni, ma cercò di estrarre qualcosa da sotto un cuscino. Bosch sparò e lo uccise. Solo dopo scoprì che questo cercava unicamente di recuperare il suo parrucchino. Però, nei locali perquisiti in seguito, gli inquirenti trovarono molte tracce che lo identificavano come l’autore degli omicidi.
Adesso, trascorsi quattro anni da quei fatti, quattro anni nei quali nulla ha scosso la sua fiducia sul fatto di aver ucciso il colpevole, si trova in tribunale accusato di omicidio dalla vedova dell’uomo. La donna, difesa da Honey Chandler, un avvocatessa che non ha mai perso una causa sui diritti civili, lo accusa di aver sparato a un innocente e chiede un risarcimento milionario al Comune. A peggiorare la situazione, proprio il giorno in cui inizia il processo con le arringhe introduttive, il Dipartimento di Polizia riceve un bigliettino (del tutto simile a quelli che spediva il Fabbricante): sulla base delle indicazioni fornite, è rinvenuto, sotto il pavimento in cemento di un edificio in rovina, il cadavere di una giovane donna conciato esattamente come le vittime del Fabbricante di bambole. Possibile che Harry abbia davvero ucciso l’uomo sbagliato?
Comincia così una frenetica serie di eventi, tra l’aula di giustizia e le strade di Los Angeles, per scoprire come stanno davvero le cose.

Conoscevo la figura tormentata del detective Harry Bosch grazie alla trasposizione televisiva di alcuni romanzi di Connelly, primo tra tutti, proprio questo “La bionda di cemento”. Nonostante ciò ho apprezzato molto il libro che ho trovato assai curato, ben scritto, interessante e attraente.
In particolare mi è piaciuto il doppio binario su cui procede la storia: da un lato un ottimo legal thriller nel quale fanno da padrone le schermaglie dialettiche degli avvocati nell'aula in cui si tiene il processo per negligenza contro Bosch. Dall'altro la frenetica caccia al mostro (un imitatore?) sulla base dei pochissimi indizi di cui la Polizia dispone e l’inevitabile cumularsi di errori e false piste.
In mezzo c’è Harry Bosch, nel cui animo sono in perenne conflitto i sentimenti e, proprio come nei quadri dell’omonimo pittore fiammingo (di nome completo anche lui fa Hieronymus), confliggono bene e male.
La sicurezza di aver fermato con la sua pallottola l’opera di un mostro assassino si scontra col dubbio di aver sbagliato o, quantomeno, di non aver compiuto appieno il proprio dovere. La convinzione di operare per il giusto, si dibatte contro le dolorose sensazioni suscitate in lui dalle dure parole pronunciate dall'avvocato Chandler che non esita a sbattergli in faccia la dolorosa storia di sua madre. L’amore e il desiderio di protezione nei confronti della sua compagna, Sylvia, rischiano di essere travolti dal senso del dovere che lo spingerebbe a un esasperato presenzialismo negli uffici di polizia ove si stanno effettuando le indagini. Poi ci sono il terribile ricordo della madre, prostituta uccisa anche lei in modo disumano, la sensazione di non essere mai pienamente adeguato, l’acredine suscitata da tradimenti presunti o reali di amici e colleghi. Tutto ciò fa sì che l’uomo non sia mai in pace con sé stesso e che sia costretto a trovare rifugio perenne nella onnipresente sigaretta o, talvolta, pure nella bottiglia.
Più che nelle due trame intrecciate (pur ottime) è proprio l’analisi psicologica del poliziotto, la cui psiche è un vero e proprio gomitolo di filo spinato, che rappresenta il maggior pregio del romanzo, qualcosa di più e di meglio di un semplice poliziesco, anche se suspense, colpi di scena e tensione non mancano di certo.
Ho trovato, poi, lucidissima e agghiacciante la metafora che, a un certo punto, l’A. mette in bocca all'avvocato Chandler in un colloquio con Bosch. I due, durante una pausa del processo, si trovano per una sigaretta liberatoria nei pressi dalla statua della dea Dike, davanti al Palazzo di giustizia e, tra una boccata e l’altra... “«Quella è la Giustizia» disse lei con un cenno del capo alla statua. «Lei non sente e non vede. Non può avvertire la nostra presenza e non ci parla. La Giustizia, detective Bosch, è solo una bionda di cemento»”.
Il timore che quella sia l’unica, cruda verità, purtroppo, non ci lascia sino alla parola fine e anche oltre.

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Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
Consigliatissimo a chi ama i polizieschi intelligenti, ma anche a chi non apprezza il genere, perché è un ottimo romanzo di indagine psicologica e umana.
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