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Sherlock Holmes e la creatura infernale
Senza alcun dubbio questo è il più noto e rinomato romanzo di Conan Doyle e anche coloro che non l’hanno letto non possono onestamente dire di ignorarne il contenuto, non foss’altro perché è stato adattato in decine di pellicole cinematografiche e televisive e pure la Disney ne ha tratto alcune godibili parodie, una delle quali vede Topolino e Pippo nelle vesti della coppia di investigatori e Gastone in quelle di sir Baskerville, erede e potenziale vittima del mastino.
La storia, quindi, si fa presto a riassumerla. Sull'antica casata dei Baskerville grava una tragica, oscura maledizione. A causa del dissoluto comportamento di uno degli antenati, gli eredi del titolo sono perseguitati da una figura infernale, incarnata in un demoniaco mastino fiammeggiante, che dà loro la caccia e li porta a morte violenta e prematura. Quella, peraltro, è proprio la fine che ha colto Sir Charles, ultimo erede diretto del nome, pur essendo, egli, uomo probo e generoso. Questa, infine, è la fine che rischia di fare pure l’ultimo erede, Sir Henry, nipote di sir Charles, giunto dall'America per assumere onori e oneri connessi al titolo.
Il dott. Mortimer, medico di famiglia e buon amico di Sir Charles, si reca a Baker Street per chiedere l’aiuto di Holmes nella speranza di evitare il ripetersi della tragedia. L’investigatore, adducendo precedenti, indilazionabili impegni si defila e manda in avanscoperta l’amico Watson a protezione del baronetto. Installatosi a Baskerville Hall, nelle desolate brughiere del sud ovest dell’Inghilterra, Watson cercherà di raccogliere più indizi possibili da comunicare a Holmes, in quotidiani rapporti epistolari, per consentirgli di dipanare l’intricata matassa pur da lontano. Ma anche il buon dottore faticherà a sfuggire alle suggestioni del luogo e i lontani lugubri ululati che talvolta risuonano nella notte non aiutano a mantenere la mente fredda. Solo in un convulso finale tra le mortifere paludi della brughiera, tutti i retroscena verranno svelati.
Proprio per la notorietà dell’opera è impossibile affrontarne la lettura senza essere già preparati e pronti a prevedere i vari colpi di scena che si susseguono nella narrazione. Cionondimeno il romanzo resta affascinante e avvincente. L’ambientazione è ottimamente tratteggiata e le brume del moorland, splendidamente descritte, contribuiscono ad accrescere l’atmosfera, minacciosa, gotica e soprannaturale, preservando, almeno parzialmente, la tensione emotiva.
L’assenza di Holmes per gran parte del romanzo, lungi dall'essere un difetto, al contrario migliora sensibilmente il racconto: in effetti i saccenti e supponenti atteggiamenti dell’investigatore alla lunga tediano e il reiterato cliché di stupire gli interlocutori con rivelazioni apparentemente geniali non ne aumenta la simpatia. In questo caso, però, la storia si dipana tra uomini “normali” animati da “normali” sentimenti e sensazioni e il soprannaturale, che occhieggia continuamente e di cui Conan Doyle alla fine si fa beffe, aggiunge pepe alla narrazione. Inoltre, a differenza di quanto avviene nelle precedenti storie con protagonista Sherlock Holmes, in questa circostanza l’A. non lesina a seminare indizi ed elementi di valutazione che consentono al lettore di procedere autonomamente nelle indagini. Proprio per questo (oltre che per la già sottolineata popolarità dell’opera) le rivelazioni finali non giungono certo inaspettate, ma solo come la conferma di ciò che era possibile dedurre nel corso della lettura. Tuttavia non è nella agnitio conclusiva che va ricercato il pregio del romanzo, quanto nell'abilità di reggere, con una prosa scorrevole e intrigante, per quattordici capitoli una storia sostanzialmente lineare, ma decisamente accattivante. Anche l’inevitabile affettazione tipicamente britannica e quell'atteggiamento discriminatorio lombrosiano, secondo il quale i malvagi lasciano trasparire la loro indole pure dall'aspetto, volgare, animalesco, marchiato da vili passioni, pur se presente anche ne “Il Mastino dei Baskerville” infastidiscono meno e, tutto sommato, risultano tollerabili perché chiaramente filtrati dalle percezioni personali del Watson-narratore.
Quindi, effettivamente, il romanzo si conferma come il migliore della serie e quello che, ancor oggi, risulta il più attuale e godibile.
Mi viene da concludere con una riflessione che fa sorridere: è singolare come Conan Doyle irrida in questo libro (ma anche in altre sue opere) ogni suggestione di influenze ultraterrene e, poi, abbia dedicato gli ultimi decenni della sua vita a coltivare ogni genere di interesse per la parapsicologia. Chissà cosa avrebbe pensato di lui Sherlock Holmes se si fosse liberato della prigionia delle pagine in cui era stato confinato?