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Delitti, poliziotti, investigatori, tribunali
Questo è il romanzo poliziesco forse più noto della celebre Regina del giallo, anche per merito di fortunate trasposizioni cinematografiche, e di valenti interpretazioni della figura di Hercule Poirot, il piccolo investigatore belga, protagonista assoluto, insieme a miss Marple, della stragrande maggioranza degli enigmi della scrittrice inglese.
Direi che la fortuna di Agatha Christie risieda certamente nella sua abilità a confezionare dei classici del genere, con il consueto format delitto-investigazione-soluzione, ma non solo.
Agatha Christie piace, si legge volentieri, senza alcuna fatica, scorrendo le pagine piacevolmente, con curiosità, interesse, oserei dire con passione, si termina la lettura piacevolmente sorpresi, soprattutto distesi, perché la Christie prima di ogni altra cosa sa scrivere, prima ancora di creare intrecci all’apparenza inestricabili ed infine estremamente logici, addirittura semplici una volta visti a cose fatte, è una scrittrice come Dio comanda, lasciate perdere di cosa scrive, lo scrive veramente bene, in maniera gradita, comprensibile, deliziosa. Fluente, scorrevole, sciolta. Spesso incantevole.
La scrittrice inglese rende, innanzitutto rende la lettura un piacere, come ogni bravo scrittore deve saper fare. Rappresenta bene, scrive, descrive, ci offre delle storie originali e ben congegnate, e rese ancora meglio sulla pagina.
Se non avesse questa cura e attenzione, tanto impegno, riguardo e dedizione nel confezionare il parto della sua fantasia, qualsiasi enigma, anche il più difficile e misterioso, perderebbe pathos ed interesse, riuscirebbe niente più che un passatempo da settimana enigmistica.
Il suo talento, e il conseguente successo di pubblico ma anche di critica, sono davvero pochi i critici che storcono il naso davanti ai suoi libri, che dir si voglia, e si sa quanto spesso cattedratici e soloni della critica siano ostili a considerare la paraletteratura, sta in questo: Agatha Christie confeziona dei quadri, degli affreschi.
Riflette sul soggetto, ne inventa uno, poi è anche capace di realizzarlo riversando l’immagine fantastica sulla tela, scegliendo le tinte giuste, ombreggiando e schiarendo, sottopone il soggetto alla luce più adatta, occupandosi anche della cornice più adeguata.
Dopodiché, taglia il quadro in tanti pezzi, uguali e simmetrici.
Si badi, non crea un puzzle, non sono pezzi confusi ad incastro difficile a trovarsi, la Christie non bara mai con i suoi lettori, non imbroglia o depista o omette, tutti i pezzi del quadro sono lì, alla portata di chiunque, facili da assemblare, se visti con logica, solo che non sono in ordine, sono sparsi su un piano. Vanno rimessi insieme con ordine e senza preconcetti.
Serve ricostruire l’immagine, individuando dapprima i riquadri a bordi confinanti, di modo da ricostruire il perimetro, poi riempire l’area circoscritta in ordine logico, infine osservare il quadro nella giusta prospettiva.
Il risultato finale è uno, e uno solo, quello giusto.
Questo è quanto fa Hercule Poirot, un investigatore sui generis, in realtà un ometto pretenzioso e un po' buffo, un poliziotto, anzi ex poliziotto che è soprattutto un uomo dotato di comune buon senso e altrettanto comune senso pratico. E di pazienza e di costanza: non è che serva di più.
Poirot non fa altro, per prima cosa, che procurarsi tutti, ma sopra ogni cosa TUTTI i pezzi del quadro, tenendo bene a mente quali sono le passioni umane che portano un individuo a commettere il più grave dei delitti.
Esclusi i delitti di malavita e gli attacchi di follia, Poirot sa benissimo che i moventi possibili sono sempre e soltanto due: il denaro, o quanto altro nelle sue svariate forme in cui può presentarsi, la bramosia di potere, per esempio; e l’Amore, quello con la maiuscola, il solo in grado di spingere a commettere reati gravissimi, e quindi anche ogni altro sentimento ad esso collegato, la gelosia, il tradimento o la vendetta, per esempio.
Una volta ricostruita bene l’immagine, e offerta alla vista del suo uditorio come fosse esposta su un cavalletto, per quanto possa sembrare inverosimile a prima vista, se è quella giusta, è l’unica soluzione possibile.
Per questo, quando come spesso accade, Poirot e per lui Agatha Christie, nella ricostruzione finale delle sue storie, in cui inchioda inappellabilmente il colpevole alla sua responsabilità, riscuote appalusi a scena aperta, perché è una ricostruzione logica, perfetta, l’unica plausibile, e soprattutto…descritta, anzi scritta, ancora meglio.
Magari è una soluzione semplice, ma è il modo come ci è offerta, i viali per cui ci conduce la scrittrice alla meta finale, che sono deliziosi, alberati, piacevoli e deliziosi. Anche ripetibili.
Un bel libro, un bel romanzo, da leggere, questo e gli altri di Agatha Christie, una brava scrittrice.
La caratteristica in particolare di questo “Assassinio sull’Orient Express”, il tocco di classe in più rispetto agli altri della stessa autrice, è quello che ritroviamo anche in altri analoghi, come l’”Assassinio sul Nilo” o “Dieci piccoli indiani”: sono enigmi della camera chiusa.
L’azione cioè si svolge in un ambiente limitato, confinato; vale a dire, il colpevole è necessariamente uno di quelli insito nei limiti, un personaggio noto e ben delineato frammisto agli altri presenti e con la vittima, non viene né può provenire dall’esterno in alcun modo, da fuori contesto, l’azione cioè si svolge in una camera chiusa, o metaforicamente tale, come un battello su un fiume, magari su una piccola isola, giusto per spaziare un poco, o addirittura su un treno in corsa.
Un treno particolare, un treno dal sapore esotico, il mitico e fascinoso Orient Express, un treno da vip, su cui Poirot si ritrova quasi per caso.
Senonché una bufera di neve blocca il treno sui binari, e nel mentre si attendono i soccorsi, un delitto ha luogo a bordo.
Un passeggero, una persona un po' infida e ambigua, in verità, viene rinvenuto nel suo vagone letto trucidato a coltellate.
Il delitto rappresenta quasi una sfida per Poirot, sia perché avviene quasi sotto i suoi occhi, sia perché si sente chiamato indirettamente in causa: la vittima aveva provato ad assoldarlo in precedenza come guardia del corpo, temendo per la propria esistenza.
Senza successo, malgrado il compenso allettante, Hercule Poirot è un uomo profondamente onesto, di una tempra morale tale da rifuggire dall’ambiguità e dalla cattiveria intuita sotto gli abiti costosi e l’apparente ricchezza dell’uomo.
Soprattutto, Poirot ha certamente modo e valori tali da poter rifiutare un ottimo compenso, tra l’altro neanche adeguato alla sua figura considerandosi egli un fine pensatore investigativo ma meno che mai una bodyguard.
Infine, perché ha un sesto senso per la malvagità dell’animo altrui, non lavora cioè per la salvaguardia di uno, ma per la giustizia di tutti, e avverte una qualche meschinità nel vissuto della vittima.
Tutti i romanzi di Agatha Christie sono permeati da un profondo senso della giustizia: i suoi libri non sono a lieto fine, spesso lasciano l’amaro in bocca, come spesso succede per le miserie umane, ma sempre il colpevole viene assicurato alla giustizia.
Quella degli uomini, o quella divina, o qualche altra ancora, Poirot non si dilunga mai oltre.
Ecco quindi Poirot che indaga, e per indagare risale, ricerca l’origine del quadro.
Prima di ricostruire, guarda, vede, osserva, ricerca il bozzetto, lo schizzo, il progetto d’immagine, la prima pennellata: tutto il resto poi viene da sé.
Pian piano, o anche in fretta, tutta la storia si svolge in poche ore, ricostruisce il quadro, sistema i riquadri nel giusto ordine, poi la tela risultante è l’unica possibile, e ancora una volta il senso della giustizia conduce alla soluzione, e trattandosi di un ambiente chiuso, non raggiungibile dall’esterno, Poirot rievoca tutto come in un aula di tribunale, descrive il delitto ed un probabile progetto, poi un evento imprevedibile, a parte la sua presenza sul posto, che come in tutti i delitti perfetti rischia di essere il classico granello di polvere negli ingranaggi, e ancora l’investigazione, l’azione di polizia, il referto medico, il tribunale, il giudice, la giuria, la sentenza, insomma tutto l’armamentario della dea Minerva.
Tranne la pena, da quello Poirot si tira fuori, non è suo compito giudicare, sono azioni che lascia agli altri, lui avalla solo la soluzione più equa e moralmente accettabile.
Ne viene fuori un quadro logico, spietato nella sua interezza, crudo e crudele, ma potentemente reale, banale quanto sa esserlo veramente il male, il Male con la maiuscola.
Però un bel quadro, scritto bene, veramente un bel romanzo che rende immagini vivide e potenti, e questo lo sanno fare solo i bravi scrittori. E le bravi scrittrici, ancora meglio.
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Assassino sull'Orient Express è magistrale, mai pensabile l'esito finale!
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