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Xavier March
«Cosa si può fare – disse – se si dedica la vita a smascherare i criminali, e a poco a poco ci si accorge che i veri criminali sono quelli per cui si lavora? Cosa si può fare quando tutti ti dicono di non preoccuparti perché tanto non ci puoi fare niente ed è successo molto tempo fa?
Adesso Charlie lo guardava in un modo diverso. – Immagino che si perda la ragione.
Oppure può succedere di peggio. La si può ritrovare.»
Tutto ha inizio con il ritrovamento di un corpo nell’Havel. Un corpo rinvenuto alle 06.28 del 14 aprile 1964 e identificato nella persona di Josef Buhler, iscritto al partito con il grado onorario di SS-Brigadeführer e con servizio di attività come segretario di Stato del Governatorato dal 1939 al 1951. Sin dagli accertamenti preliminari è identificata come plausibile causa della morte quella dell’annegamento. Xavier March, investigatore della squadra omicidi della Kriminalpolizei di Berlino, comunemente detta Kripo, non è però convinto di questa spiegazione dei fatti. Più analizza il caso, più ricostruisce le sequenze e più si rende conto che questo presunto suicidio stona sotto molteplici punti di vista. La sua posizione è però precaria. Non ha la tessera del partito, è divorziato, il figlio Pili, di anni dieci e perfettamente inquadrato nelle ideologie naziste, non lo stima e anzi tale è il suo disprezzo da averlo segnalato alla Gestapo che lo monitora in ogni spostamento e in ogni azione, ed è apertamente lontano dalle idee del Nazionalsocialismo così ormai radicate. Eh sì, perché siamo nel 1964, la dittatura nazista continua a regnare indiscussa avendo vinto il secondo conflitto mondiale e Hitler è alla soglia di festeggiare i suoi 75 anni. Per l’occasione e per una serie di ragioni di carattere internazionale è prevista anche la visita imminente del Presidente degli Stati Uniti nella persona di Joseph Kennedy. L’incontro dovrebbe servire a favorire i delicati rapporti tra stati ma anche a far giungere al suo termine la “Guerra Fredda” che ormai si protrae da troppo tempo.
Un clima, pertanto, ulteriormente delicato che offre due possibilità: smettere di indagare nel momento esatto in cui a maggior ragione il caso viene sollevato dalle competenze dell’investigatore, continuare a scavare anche se questo può essere molto ma molto pericoloso. Perché aprire il “vaso di pandora” può ridare vita a fantasmi del passato, a colpe mai celate, a nefandezze mai pagate. Perché aprire la porta su un tempo che è stato ma che continua ancora a essere può scatenare le ire dei potenti e il loro spirito di conservazione.
Classe 1992, “Fatherland” è il giallo fantapolitico per eccellenza, è una ucronia magistralmente realizzata e composta che non può che solleticare la curiosità dei lettori. È un viaggio che ci propone una diversa versione della Storia, che osa, che non teme di far respirare l’aria di paura, controllo e repressione propria dello scenario delineato.
Tanto i luoghi quanto i personaggi sono vividi nella mente di chi legge, sono tridimensionali. In particolare, oltre a sentirsi catapultate tra le strade di Berlino, il conoscitore è rapito dal profilo psicologico costruito attorno alla figura di Xavier March, imprigionato nella certezza del color nero di una uniforme, eppure, così lontano da quel mondo che impedisce di conoscere e sapere. Lui, che ha una mente aperta, illuminata, sveglia, non può sottrarsi a questo desiderio. Altrettanto interessante è il profilo della figura femminile, Charlie. Venticinquenne rispetto al quarantatreenne protagonista maschile, ella è una donna temeraria, a sua volta bramosa del sapere, decisa e imperfetta. Una eroina che egregiamente spalleggia l’eroe principale aiutandolo a mostrarsi nella sua più semplice umanità. Aiutandolo a ritrovarsi, a venire fuori dalle imposizioni di quel regime. Seppur a caro prezzo.
Un titolo che suscita la riflessione, che conquista, che interroga sul passato ma con sguardo rivolto ai giorni nostri. Seppur di quasi un ventennio fa, ancora molto attuale.
«Adesso sulla riva del lago di Zurigo, March capiva che cosa aveva provato. Gli era bastato sapere che c’era la possibilità di un’altra esistenza: e quel giorno era stato sufficiente.»
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