Dettagli Recensione
1200 pagine che finiscono troppo in fretta
CONTIENE ALCUNI SPOILER
Uno dei romanzi più popolari e forse più riusciti dell'autore, che si affaccia sul mondo dell'infanzia, dell'adolescenza e dell'età adulta senza ricorrere troppo spesso allo stereotipo.
Sicuramente un libro che ha molto da narrare e che si prende le sue pagine per farlo, ma ogni arco narrativo e ogni sottotrama si intrecciano in modo talmente scorrevole che, pur pensandoci e ripensandoci, non "taglierei" nemmeno una singola pagina per snellire il tutto.
Parla di amicizia in modo quasi commovente, parla dell'amore infantile con un realismo oserei dire brutale, che sfocia poi in una malinconia grandissima, parla delle paure radicate che sembrano insormontabili, parla persino della graduale digressione nella follia del bullo che tormenta i ragazzini protagonisti.
È un horror, sì, ma è anche molto di più. È il racconto dei traumi dell'infanzia che si stanziano nell'inconscio umano (nel senso più Freudiano del termine) e che tornano a bussare alla porta nell'età adulta, e l'uccisione del mostro è proprio la sconfitta di queste paure radicate, quasi una catarsi finale.
La creatura antagonista che incontriamo in questo libro, e che non possiamo neanche definire "clown" perché si tratta di un essere informe, o di cui se non altro la vera forma resta un mistero, ci è presentata come profondamente disumana, aliena, oscura e sfuggente, forse onnipotente.
Invece ad un tratto la scopriamo quasi umana, poiché prova un sentimento sconvolgente di terrore nello scoprirsi vulnerabile, nello scoprire in modo quasi repentino che nell'universo sono presenti forze superiori ad essa, che la potrebbero contrastare. Per un attimo, si parla davvero di poche pagine, vediamo il mostro provare paura.
Verso la fine King, forse resosi conto di aver creato un essere troppo potente, vira su una narrazione quasi "fantascientifica", poiché appunto scopriamo che questo mostro proviene dal cosmo ed è stato generato dalla forza senza superiori dell'Altro. Segue una scena che ha tutte le caratteristiche di un sogno, un viaggio extracorporeo, e che è in un certo senso confusionaria, nella quale vediamo il protagonista avere un dialogo con la Tartaruga che ha generato la galassia di cui lui stesso fa parte. Forse stride un po' con il resto della storia, che sembrava improntata su un altro tipo di soprannaturale, ma in ogni caso è ben narrata e inoltre contiene lampanti riferimenti ad altre opere dell'autore, cosa che apprezzo sempre molto.
Nel finale, e con questo intendo proprio l'ultima pagina, troviamo il protagonista, Bill Denbrough, che (spoiler) si risveglia da un sogno con accanto sua moglie e, sarò stupida io, non ho capito quanto effettivamente della narrazione fatta in precedenza fosse stato un sogno e quanto no. Dunque la moglie (Audra, se non sbaglio) non si è mai risvegliata dallo stato catatonico? Probabilmente si voleva intendere questo.
Nonostante questa domanda che mi è rimasta, in realtà molto insignificante, il finale mi è piaciuto, forse non si poteva scrivere un epilogo più adatto a questa storia. Molto triste il fatto che i protagonisti siano destinati a dimenticare di nuovo, ma mostra come i traumi infantili vengono alla fine lasciati alle spalle, per incominciare una vita nuova. Concludo con una citazione che è un po' il cuore del libro, pur trovandosi alla fine:
"Non è forse vero che anche loro, tutti e sette, hanno trascorso la gran parte della più terrificate e lunga estate della loro vita ridendo come matti? Si ride perché ciò che è spaventoso e ignoto è anche ciò che è ridicolo. Si ride come un bambino piccolo talvolta ride e piange contemporaneamente quando gli si avvicina un clown goffo e dinoccolato e sa che dovrebbe essere buffo... ma è anche sconosciuto, pieno del potere eterno dell'ignoto".
(libro consigliato a tutti, io ho 17 anni ma è adatto a qualsiasi età, forse dai 14 anni in su)
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