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La tempesta del secolo
 
La tempesta del secolo 2020-05-18 20:14:43 Bruno Izzo
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Bruno Izzo Opinione inserita da Bruno Izzo    18 Mag, 2020
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Il valore delle scelte

Molti, direi anche troppi, dei romanzi di Stephen King hanno avuto una trasposizione cinematografica, alcuni anche molto fortunata.
Anzi, qualcuno conosce più lo scrittore del Maine come ispiratore di film baciati da un certo successo, a firma di registi che vanno per la maggiore, che per averne effettivamente letti i libri.
È il caso di “Shining” diretto da Stanley Kubrick, de “Le ali della libertà” o “Il miglio verde”, ambedue a cura di Frank Darabon; molti altri invece sono stati magari successi di pubblico, ma da dimenticare, film davvero di bassa lega, horror e splatter che con il vero King, signor scrittore, non hanno molto a che fare.
Il motivo per cui il cinema ha massivamente saccheggiato i testi di King per farne copioni e sceneggiature stanno, oltre che nell’originalità dei temi e la ricchezza di spunti e idee ammalianti nei suoi testi, proprio nel modo direi magistrale di scrivere del nostro.
Nei suoi libri, Stephen King si esprime per immagini, letteralmente ti fa “vedere” luoghi, fatti, personaggi; il Re dell’Horror, com’è superficialmente etichettato, ha un modo tutto suo di esternare cose e sentimenti, letteralmente pone il suo lettore in prima fila, e gli sciorina i suoi testi sotto forma di figure animate sul personale schermo mentale di ognuno.
King è un maestro nella sospensione dell’incredulità, stringe un patto con i suoi fedeli lettori, li invita ad accomodarsi, fidarsi di lui, girare le pagine, e letteralmente ti trasporta nel suo mondo fantastico.
Nello stesso tempo che il lettore è rapito dall’incanto della sua narrazione, lo emoziona, e intanto che scorre la sua narrazione, tra le righe infila il suo messaggio artistico, la sua morale, la sua opinione.
Non la sussurra all’orecchio, te la fa vedere in testa, a modo tuo, nella maniera più adatta al suo lettore, che così si ammalia, si lega per sempre alle sue storie, ai suoi libri, almeno quelli più riusciti. Uno scrittore che si esprime per immagini, dunque, l’ideale per i cineasti.
Volete che un autore così non si cimenti lui stesso, direttamente, in una sua sceneggiatura?
“La tempesta del secolo” infatti, non è un romanzo, ma una sceneggiatura.
Uno spettacolo con un cast ricchissimo, l’intera cittadinanza di una piccola isola, e questo è nelle corde dello scrittore, abilissimo a descrivere tutti i tratti somatici e interiori caratterizzanti le singole figure che animano le sue storie, senza perdere di vista l’insieme del racconto.
A complicare le cose, il set è ridimensionato, giusto per dare un pizzico di pepe in più alla narrazione; a causa, infatti, di una perturbazione di eccezionale violenza, la tempesta del secolo, appunto, l’intera comunità è intrappolata sull’isola, nessuno può entrare, nessuno può uscire.
Niente di grave, dopotutto, queste comunità isolane mettono in preventivo la possibilità di ritrovarsi tagliati fuori dal mondo per un periodo, sono attrezzati all’uopo.
Solo che stavolta, rinchiuso con loro, con loro, c’è una brutta persona: Andrè Linoge.
Angelo o demonio, stregone o umano, tra loro c’è l’elemento perturbatore degli equilibri che intercorrono tra i cittadini, brave persone quando tutto va bene. E quando tutto va male?
Quando il male si chiama Andrè Linoge? E chi sarebbe, chi è Andrè Linoge?
Essenzialmente, André Linoge è un contenitore.
Un armadio, un archivio, un classificatore, un vaso di Pandora all’incontrario.
Esso è un recipiente che racchiude in sé tutte le nefandezze, le scelte errate, scorrette, sballate, malefiche commesse dagli abitanti della piccola isola.
Si badi, Linoge non è il male, è soltanto un involucro che racchiude il male commesso dagli uomini, da quegli uomini; non esiste il male in sé, esistono le scelte malvagie, volutamente realizzate e messe in atto per i propri egoistici e perfidi interessi.
Meglio ancora, egli è uno specchio, nel quale ciascuno rivede i propri errori, le proprie malefatte volontariamente compiute, il male deliberatamente fatto e del quale non ci si pente, non ci si sforza in alcun modo di porvi riparo, ci si compiace.
L’artificio dello specchio non è nuovo in King, egli l’ha già usato, per esempio, in “It” e “Cose preziose”, ma è ancora efficace. In questo senso, allora, Linoge rappresenta un deposito delle scelte negative dei protagonisti, e in lui sono contenute scelte tipo il tradimento della persona amata, l’abbandono degli anziani indifesi, il traffico di stupefacenti, l’aborto gratuito non giustificato dalla gravità delle motivazioni, tutta una miscellanea di cattive azioni, un miscuglio di malvagità gratuite, letteralmente una “legione”, un misto di scelte spregevoli, abiette, ignobili, vergognose.
Gli abitanti dell’isola compiono delle scelte, e sono scelte meschine; danno un certo valore a queste scelte, le considerano pregevoli, valide, eppure sanno, in cuor luogo, che, in realtà, sono scelte miserabili. Volutamente e coscientemente, piccola metafora di gran parte dell’umanità, essi fanno scelte disgraziate, ma le scelgono comunque, quelle e non altre, perché gli danno un valore alto; e non si rendono conto, o non vogliono accorgersi, che il prezzo da pagare sarà, inevitabilmente, altrettanto alto. Certamente l’animo della maggior parte di loro è lacerato dai complessi di colpa: si rendono conto della grettezza delle loro scelte, ma non possono o non vogliono, magari non ci riescono, nonostante i loro sforzi, a mutare rotta. Si struggono, si tormentano, si affliggono per le loro scelte sbagliate, non pensano che potrebbero porre fine alla loro sofferenza interna semplicemente compiendo una scelta diversa, rimediando al danno già fatto, imparando dagli errori e non seguitando a compierli; si fa fatica, richiede un forte impegno e perciò non attrae, non conviene, non fa comodo cambiare strada, scegliere un diverso cammino, modificare drasticamente la propria scala dei valori, correggere il valore delle scelte.
Non reiterare le stesse, medesime, immutabili, sbagliatissime scelte, malgrado Linoge glielo dica apertamente, l’inferno è ripetizione. L’inferno, semmai esiste, è su questa terra, e consiste nel perseverare la propria malvagità. I loro dilemmi interiori certamente li struggono, con loro combattono ma preferiscono soccombervi, pertanto rimangono a lacerarli, generano nel loro animo turbamento, subbuglio, agitazione, una vera e propria burrasca dei sentimenti; e poiché i propri problemi, i propri interessi, le proprie ansie sono sempre sentimenti unici, sono egoisticamente ed individualmente i più importanti, i più essenziali, i più degni di nota, ecco che la burrasca della coscienza e del giudizio non è, per ciascuno di loro, una tormenta qualsiasi, una perturbazione come quella degli altri, ma la più grande, l’unica, la madre di tutte le tempeste, la tempesta del secolo.
Il male è una scelta consapevole, non è mai casuale, e se e quando lo è, perde d’efficacia, di potenza, si può porvi rimedio. Il male richiede una scelta determinata, perché non è mai inconsapevole, chi fa il male, tranne le dovute eccezioni, sa benissimo quello che fa, ma lo fa con coscienza per i suoi interessi, rinunciando con questo alla correttezza ed al bene alla base della propria umanità. Il male richiede decisione, consapevolezza, convinzione, richiede quindi forza nel cedere alla debolezza di compiere il male.
Il male va combattuto con correttezza, nel rispetto delle regole, altrimenti non differisce in nulla ciò che è giusto dall’ingiusto. Non si combatte la violenza con la violenza, non si ripagano gli assassini con la pena di morte, la legge del taglione era valida, semmai lo era, ai tempi del Medio Evo. Gli abitanti della piccola isola sono dei bravi e fedeli americani, patrioti che si commuovono alle note di “Star and stripes”, hanno giurato fedeltà alla Costituzione, hanno votato l’approvazione della Miranda Escobedo, eppure il maggior amministratore dell’isola, e con lui la moglie dello sceriffo, e quindi una persona vicina a chi sa di legge, non esita un istante a proporre allo sceriffo stesso di piazzare una pallottola fra gli occhi di Linoge, così, giusto per evitare rottura di scatole varie, prima ancora che Linoge si riveli compiutamente. E la Costituzione, le leggi, il Bill of Rights? Gesù, ma che bella gente gli abitanti dell’isola! Si meravigliano che sono stati scelti da Linoge per la sua ricerca? Di che cosa tratta, dunque, “La tempesta del secolo”?
Un buon libro, ve lo assicuro, mi correggo, una buona sceneggiatura di King.
Tout court esso afferma, lo dice lo stesso Mike Anderson, nello struggente prologo: “Nella vita, si passa pagando. Talora tutto ciò che si ha.”
Intende affermare che ogni scelta che si compie comporta una conseguenza, se la scelta è nefasta, il prezzo sarà maligno, se la scelta è corretta e rispettosa, la conseguenza sarà giusta e gratificante. Anderson è la personificazione del “buono” nella storia, ma direi di più, è la personificazione di chi cerca, si sforza, s’impegna ogni giorno della sua vita, per fare del suo meglio; e quindi, per fare il bene. Com’è giusto che sia. Non è per niente una persona eccezionale: egli fa appello esclusivamente alla sua buona volontà, al buonsenso, alla propria fondamentale onestà, al rispetto delle regole del gioco, qualunque esse siano. Volendo credere a Linoge, non è egli stesso immune da colpe, ha compiuto azioni disdicevoli, ma non di gravità tale da nuocere deliberatamente al proprio prossimo, che egli tanto giustamente rispetta, chiunque esso sia, di qualsiasi razza, religione, essenza, e se pure lui stesso, come tutti, ha talora sbagliato, ha riscattato e sopperito alla sua scelta errata con una condotta non diciamo esemplare, che non esiste, ma una condotta di vita impegnata, questo sì, alla giustizia ed al bene, in assoluta buonafede.
Ci si può ribellare a Linoge?
Naturalmente. C’è sempre un’alternativa ad una scelta sbagliata, il male non è inevitabile.
Linoge è un miserabile sciamano, la sua forza consiste in quello che siamo disposti a credere.
Come un vampiro, non entra se non lo lasciamo entrare; non si fanno scelte sbagliate se non ci si auto convince che sono indispensabili.
Linoge lo dice: non posso costringervi, il che ci fa capire subito che non può tutto, che non è invincibile! Ma posso punirvi, questo sì. Avanti, allora! Fatti sotto, pezzo di merda!
In “It”, i bambini si fanno da sé una piccola pallina d’argento, e credono, assai fortemente credono, con fede devota e incrollabile, che questa fa male ai lupi mannari! Gli fanno male davvero!
Anderson lo dice: confidiamo in Dio, è l’unica scelta di valore. Voleva dire, confidiamo in noi stessi, abbiamo fede nella nostra decisione, diamo un valore inestimabile alla nostra scelta di non rinunciare, nemmeno per un momento, alla nostra umanità. Comunque fossero andate le cose, Linoge sarebbe stato sconfitto. Ma essi scelsero diversamente. Linoge li scelse appunto per la loro diversità, perché erano malati, ciechi, deboli, vigliacchi. Non perché avevano qualcosa che gli dava fastidio, come pensa Mike ricordando il biblico “fammi sapere perché” di Giobbe, ma perché avevano, al contrario, qualcosa che gli piaceva: davano pochissimo valore a scelte che nuocevano gli altri, andava tutto bene fino a quando non erano toccati nel loro privato giardinetto. Ognuno per sé e Linoge per tutti, un gregge esemplare adeguatamente guidato da un pastore pedofilo.
Come sempre accade, il male colpisce gli innocenti. In guerra, i civili inermi sono le vere vittime. Le donne, i bambini…Naturalmente, i bambini.
L’unico a salvarsi è, naturalmente, Mike Anderson.
Avrà la sua ricompensa. Perché il difficile, in simili tragedie, è la certezza del sapere, sapere ad esempio che suo figlio è in pace, libero di giocare in un posto dove i bambini sono veramente bambini, e scelgono di rimanere tali per sempre, mentre nella mente gli scorrono i versi finali di un’antica, bellissima, proposizione di scelta, una eternamente valida dichiarazione dei valori principali, ideata millenni prima da un oscuro predicatore della Galilea, figlio di un modesto falegname, che con le sue scelte, i suoi valori, avrebbe segnato per sempre la storia dell’umanità.
Versi che, giustamente, terminano con un “…e liberaci dal male”.

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Stephen King, of course.
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