Dettagli Recensione
Un grande paese
Gira e rigira, poi si finisce per tornare sulla strada di casa, a fare le cose che ti riescono meglio.
Questo è quanto è accaduto di recente a Stephen King, il re della letteratura horror, famoso per aver riportato in auge, ambientandoli direttamente ai nostri giorni, nei tempi moderni, i mostri “classici”, vampiri e similari orribili scherzi della natura.
Quelli che abbiamo sempre conosciuto, per esempio, leggendo autori come Bram Stoker e Mary Shelley, portati nell'immaginario visivo dalle fattezze di attori divenuti famosi proprio interpretandoli in film a basso costo.
Davvero un colpo di genio, quello dello scrittore del Maine di riproporre e riportare quei miti dell’horror ai tempi correnti.
Questo, e il suo talento, sono quelli che hanno fatto la sua fortuna di pubblico e di critica non preconcetta.
Perché per King l’horror è qualcosa che scuote, e spaventa, e quindi ti spinge affannosamente a riflettere e a trovare una spiegazione, escogitare un rimedio a un simile orrore, a prescindere dall'aspetto che assume.
Può essere un demonio, o un talento innato tanto misterioso quanto indesiderato, o anche un mostro antico rifugiato nelle fogne e di periodica ricomparsa.
Rilevando, nel frattempo, quasi di straforo, distrattamente, che magari altri fenomeni altrettanto mostruosi, forse di più, eppure paradossalmente considerati nella norma, i fenomeni moderni come la pedofilia e il femminicidio, appaiono molto più truculenti, e orridi, di un qualsiasi vecchio conte con i canini appuntiti o di un decerebrato ululante alla luna.
Dopo un periodo di…divagazioni, essendosi cimentato in una trilogia di police procedural books, con solo un sottofondo alquanto contorto e nebuloso di fenomeni orrorifici più all'acqua di rose, lo scrittore del Maine torna a raccontarci di temi che conosce meglio, e in cui eccelle.
Ci parla qui innanzitutto della sua America, quella più vera e più diffusa, fuori dalle luci della ribalta della grande città, la provincia americana, la stessa, dove è nato e ha vissuto.
King s’inoltra e ci immerge pari pari, grazie alla sua valente abilità descrittiva, nelle strade, nelle consuetudini, nell'intimo delle piccole cittadine sparse negli ampi spazi tra una metropoli e l’altra degli Stati Uniti.
Ci porta nel vivo del tessuto connettivo degli States, nei luoghi piccoli o medi, operosi, vitali, coesi, di valore, che sono le stazioni di sosta, i gangli di smistamento dell’energia, della forza lavoro, delle idee e dei valori che fanno dell’America un grande paese.
Una provincia dove il buon senso, la solidarietà, la compartecipazione, tutto sommato la fanno ancora da protagonisti essenziali, sono sempre l’anima più autentica della nazione.
Dove l’ordine regna sovrano in una realtà affatto sonnacchiosa, e la legge è fatta rispettare più appellandosi ai valori civici, patriottici ed etici dei cittadini, che alla forza pubblica di per sé.
Dove è nata la dichiarazione di Indipendenza, la tradizione del tacchino ripieno per il ringraziamento, la torta di mele e il drive inn, e il codice dei diritti è insito nel DNA di ognuno insieme alla libertà e al rispetto delle regole.
Dove ognuno è pronto a imbracciare il fucile contro i cattivi, a fianco dello sceriffo, e a dividere la torta di mele appena sfornata con i vicini, senza omettere di serbarne una fetta per l’homeless della cittadina.
E infine, King torna a cimentarsi incantandosi e incantandoci con il racconto di un materiale magico e altisonante insieme, che plasmato dalla sua arte letteraria si erge a materia guizzante, puntiforme, ridondante di emozioni vive e genuine, palpitanti, proprio perché rilevate al loro iniziale nascere e primitivo divenire.
Stephen King eccelle, come sempre ha eccelso, quando si cimenta a ricamare letterariamente l’anima dei suoi protagonisti prediletti: i ragazzini della prima infanzia.
Quelli che provano i brividi più intensi, magnifici, trepidanti e impressionabili nei confronti dei comuni eventi della propria crescita fisica, sentimentale, ormonale.
Proprio perché non ne hanno ancora nozione alcuna.
Sono sensazioni nuove, pure, pulite, incantevoli, mai più ne proveranno di simili, sono singolari per definizione, appartengono a quell'età, e non più ad altre, per quanti sforzi adopererai.
Come si emozionano, come trepidano, come si porgono i preadolescenti davanti alle prime emozioni forti, i primi batticuori, i primi turbamenti, è materia delicata e suadente insieme, coinvolge, commuove, trascina in un turbine di ricordi dolci e deliziosi, carezzevoli sul cuore con una piuma. Perché ciascuno ritrova se stesso, rivive le stesse emozioni che ha provato davanti al primo amore, alle prime amicizie, alle prime emozioni non più ludiche ma già spirituali, pure, intense, non intaccate ancora dal materialismo del vivere e del crescere.
King è un maestro in questo, su questo ha basato la sua fortuna, a questo ritorna.
Dove possiamo trovare dei preadolescenti? In un istituto, per esempio.
Un istituto dove però sono costretti a forza.
Perché si tratta di preadolescenti particolari, provvisti loro malgrado di un potere, un’intelligenza particolare, qualche capacità di telepatia, di telecinesi, di premonizione, che ne fa dei diversi, quindi dei mostri. Quando talora non è che l’estrinsecazione di una sensibilità sublimata all'estremo.
In realtà, i veri mostri sono coloro che in questo istituto li hanno rinchiusi, strappandoli crudelmente alle loro famiglie, al loro ambiente, manipolandoli brutalmente per fini criminali, nascosti dal paravento di una presunta superiore necessità nazionale, operante tramite organismi segreti infiltrati come un veleno nelle istituzioni.
Una velata critica del democratico King alla deriva reazionaria della politica trumpiana.
Tocca alla provincia, alla parte buona del paese, alla brava gente della provincia americana, rimettere le cose a posto, assicurare un futuro ai teneri ragazzini coinvolti loro malgrado, troppo presto, nelle lordure degli adulti.
Stephen King, come altre volte, rende omaggio al suo Paese, è, in effetti, un democratico, e un fervido patriota. Sa che l’America, in fondo, è un istituto, non altro; dove vigono regole, che se condivise unanimemente, permettono il regolare decorso dell’esistenza civile, con rispetto, lavoro, sacrificio, e regole di relax e buonumore, sport, feste e ballo di fine anno, come in una qualsiasi high school di una media cittadina americana.
Tutto sta a scegliere bene i gestori dell’istituto, il corpo docente, insomma.
Lui lo sa, è stato giovane allievo, bravo insegnante, bibliotecario appassionato: e si vede.
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Ho apprezzato anche io la Maraini(mi manca qualche titolo), Fallaci mai cominciato a leggerne e la Ferrante...mi spaventano i fenomeni editoriali. Diciamo mi butto sui classici dell'Ottocento. Grazie a te
devo dire che mi piace molto questo tuo "contestualizzare" l'opera e l'autore, denota conoscenza, complimenti!
Io avevo abbandonato King dopo It, e l'ho ripreso con questo romanzo, che devo dire ha fatto il suo dovere, mi ha tenuta incollata fino all'ultima pagina, anche se ho trovato il finale un po' ridondante, ma va bene lo stesso!
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