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Non si scherza con i sentimenti
Confesso che nutro un debole per “Carrie” di Stephen King: perché, dopo averne avuto un primo timido assaggio con la raccolta di sfiziosissimi racconti de “A volte ritornano”, questo è stato il primo romanzo che ho letto dello scrittore americano, e…all’epoca ero poco più che ventenne, King era ancora misconosciuto al grande pubblico, cosa inverosimile oggi, aveva esordito proprio con questo romanzo, da pochissimo pubblicato in Italia. Un tuffo nella mia gioventù, quindi.
“Carrie” dunque, ed il successivo primo film omonimo tratto dal libro, con la regia a firma di Brian de Palma, rappresentò il trampolino di lancio dello scrittore del Maine, il suo successo iniziale che farà da traino dei fortunati romanzi successivi.
Pur essendo il suo primo libro, e quindi per questo con uno stile di scrittura accattivante ma ancora acerbo, presenta tuttavia un’ottima fluidità e piacevolezza di stile e di lettura, anche se non proprio ancora l’eccelsa capacità descrittiva nel profondo e nel dettaglio di luoghi e persone, di cui darà prova ampia prova successivamente, rivelandolo come un vero, bravissimo scrittore a prescindere dai temi in cui si cimenterà.
Temi che, come da etichetta, a mio parere assai ingiusta, recitano che Stephen King è sì un King, un Re, ma “Il Re dell’Horror”.
Stephen King non è a mio modesto parere uno scrittore dell’horror in senso stretto, ma egli è invece, tra le altre cose, essenzialmente un osservatore, un attento scrutatore dei meandri dell’animo umano, ed un insigne descrittore degli stessi.
In particolare, è un insegnante di lettere, per chi non lo sapesse, quindi anche per indole è particolarmente attento ad un’epoca della vita che egli considera la migliore del corso dell’umana esperienza, quella più tenera e delicata, più magica e poetica, più sensibile e delicata, più fine, più dolce, più emotiva: l’età della primissima adolescenza.
Guarda caso, è l’età anche più impressionabile dell’umana esistenza, e perciò l’età in cui la curiosità è particolarmente pungente, la fantasia fervida, la voglia di sapere, di conoscere, di vedere oltre le apparenze, sono fortissime, tenaci, in un’ottica non più infantile ma non ancora freddamente razionale, tipica dell’età adulta, e si cede perciò facilmente e docilmente al fascino dell’horror.
L’horror spaventa, ma affascina; l’horror terrorizza, ma incuriosisce; ed i maggiori consumatori dell’horror in tutte le sue forme sono proprio i ragazzini della prima adolescenza, perché non credono più alle favole, certo, e però credono ancora nelle storie “strane”, non sono più bambini, vero, ma nemmeno abbastanza grandi da limitarsi ad etichettare come illusorio ciò che non arrivano ancora cocciutamente a spiegare solo con la ragione.
Perciò King parla di adolescenti, dell’adolescenza, si incanta per quell’età, e perciò indirettamente scrive di horror, ma lo fa non per impaurire il lettore e come attività fine a sé stessa, ma utilizza l’horror come un artifizio, come un pretesto, uno specchio riflettente che appunto riflette ben altra realtà e considerazioni.
Carrie White, la sua protagonista, è un’adolescente, ed una adolescente tormentata in tutti i sensi, in famiglia, a casa come a scuola.
Maltrattata nel fisico e nel morale dalla propria madre, una persona letteralmente fuori di testa, bullizzata a scuola, anche e soprattutto in conseguenza di questo, privata com’è stata di qualsiasi corretto iter educativo ed affettivo di qualsiasi genere, sottoposta a continui stress intollerabili per qualsiasi personalità in divenire, in quell’età così fragile, vulnerabile, sensibilissima, resta comunque ostinatamente, malgrado tutto, con la caparbietà tipica degli adolescenti, una persona buona, dolcissima, tenera e amabile, che prova in qualche modo a focalizzare altrimenti la rabbia distruttiva che non è altro che una forma di difesa esasperata contro i crudeli assalti esterni.
Poi è King che con la sua fantasia e la sua arte trasforma tale rabbia giovanile in un potere paranormale, quale la telecinesi; ma questo superpotere è in realtà un simbolo, il simbolo della rabbia distruttiva allorché si scherza coi sentimenti di un adolescente.
Perché a quell’età, soprattutto in un adolescente femmina, che da poco ha avuto il menarca, l’anima è sensibilissima, fortemente emotiva, eccitabile, fenomenica proprio, e allo stesso tempo fragile, fine, facile a lacerarsi, estremamente recettiva ed impressionabile: non si scherza con i sentimenti di un adolescente. Perché altrimenti le conseguenze saranno disastrose, distruttive, letali.
Ecco perché spesso King nei suoi romanzi parla spesso di adolescenti, e adolescenti o anche bambini o giovanissimi che per reazione, per difesa, per le nefandezze degli adulti a cui sono sottoposti rivelano poteri insoliti, paranormali, che non sono altro che meccanismi di difesa.
Sono adolescenti i protagonisti dei suoi maggiori successi: da Carrie White di “Carrie” con la telecinesi a Danny Torrance di “Shining” con la telepatia a Charlie McGee di “Firestarter” (L’Incendiaria) dotata della pirocinesi, fino a tutti i Sette Perdenti, i ragazzini protagonisti di “It”.
Sono adulti ma con la purezza, l’onestà, l’innocenza e la capacità di credere e vivere in pieno certi valori, con l’entusiasmo travolgente tipica degli adolescenti, gli Stu Redman ed i Larry Underwood di “The Stand” (L’ombra dello scorpione); sono ragazzini infantili mai arrivati all’adolescenza o arrivateci male, anche certi personaggi negativi, sfortunati, vittime loro malgrado come l’Annie Wilkes di “Misery”. E via così.
E qualcuno ancora crede che King scriva di horror, di sangue, di splatter.
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Interessante ancor di più la bravura di King allora!
a breve io inizierò Misery, spero in un altro capolavoro!
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Carrie è piaciuto molto anche a me, come personaggio "cattivo" femminile (passami il termine ma non saprei come farmi capire) è fantastica, un soggetto debole e vittima che diviene carnefice.
King è davvero un maestro.