Dettagli Recensione
Il nascondino
L’ambientazione del “Gioco di Gerald” di Stephen King è quella che già altre volte lo scrittore del Maine ha utilizzato come artifizio letterario per raccontarci le sue storie.
Non è nuovo infatti per King l’espediente della “camera chiusa”, utilizzato per esempio da diversi giallisti: lo ritroviamo già nel racconto lungo “Nebbia”, che si svolge in un supermercato, o in “The Dome”, dove l’azione è rigidamente delimitata entro i confini invalicabili, addirittura, di un’intera cittadina.
Questo escamotage tipico dei mistery, e qui subito il pensiero corre agli inimitabili piccoli capolavori come “Assassinio sull’Orient. Express” o “Dieci piccoli indiani” della Christie, questo ambientare gli eventi in un’unica, claustrofobica location, dove i fatti si svolgono in un ambiente chiuso che non permette ai personaggi di escludersi dallo scorrere degli eventi, né ad altri esterni di intervenire, permette di mettere in scena un vero e proprio teatrino di mistificazioni e depistaggi.
Il re dell’horror, come certa critica riduttiva si ostina a classificarlo, non scrive gialli, ma appunto storie “di paura”. Dove però la paura suscitata ad arte in fondo non è che un sentimento apicale posto in cima al miscuglio di emozioni, sensazioni, capacità, conoscenze ed etica che caratterizza il cuore delle comuni persone di ogni giorno. Una volta solleticata ad arte, la paura dà poi la stura al rigurgito di tutto quanto acquisito nel cuore dei protagonisti. La paura, l’horror, il terrore permette ad ognuno di mostrare il meglio, o il peggio, di sé stesso. Stephen King lo sa benissimo, prende a prestito il babau collettivo che ciascuno ha in sé, memento delle proprie esperienze negative vissute, mette davanti a ciascuno il proprio spauracchio personale, che magari in apparenza avrà l’aspetto di un vampiro, di un uomo lupo, di uno zombie, ma nella realtà sono ben altri i mostri di cui aver paura.
La pedofilia, l’incesto, gli abusi sessuali, questi e altri, il peggio delle nefandezze umane, questi sono i veri, unici, autentici mostri di cui aver paura.
Perciò ciascuno è condotto a riflettere, a rivedere e a esorcizzare a forza i propri mostri interni, unico sistema per recuperare e recuperarsi, superare una volta per sempre i limiti che le azioni malvagie, fatte e subite, impongono al corretto ed esemplare fluire dell’esistenza.
In questo che è tra i meno orrorifici romanzi di King, la protagonista Jessie Mahout si isola in un cottage sul lago insieme al marito Gerald, e si sottomette a lui come vittima passiva in un gioco erotico, volto più che al piacere sessuale in sé, a cercare di recuperare un rapporto coniugale ormai sfilacciatosi da tempo.
Sennonché per una serie di sfortunati imprevisti la povera donna si ritrova sola e abbandonata in tale luogo sperduto, costretta ammanettata alla spalliera di un letto.
In balia degli eventi, quindi, ed in balia dei deliri onirici che sempre si instaurano in situazioni parossistiche di stress estremo.
Da un gioco erotico si passa quindi ad un vero e proprio gioco del nascondino: le lunghe ore di forzata immobilità, lo stress e la tensione, inevitabilmente inducono la donna ripercorrere in un vero e proprio flash back continuo, in cui ella stessa cela e nasconde a sé stessa pagine dolorose della propria esistenza.
La liberazione di Jessie passa quindi necessariamente per una presa di coscienza, per l’acquisizione schietta e completa, per la consapevolezza piena del proprio vissuto esistenziale, deve dissipare a forza le ombre che per tanto, troppo tempo l’hanno ammanettata ad un vissuto con colpa, e non per colpa propria.
Jesse deve riprendere in mano le redini della propria vita, riconsiderare gli eventi per quello che in effetti furono, rielaborarli come va giustamente rielaborato un lutto, ed infine acquisirlo ed accettarlo per giungere a…fare tana, liberarsi nella mente e inevitabilmente anche nel fisico.
Una mente libera dagli orrori subiti, infatti, inevitabilmente si attiva con idee qualitativamente migliori, non più restrittive dalle paure trascorse, che porteranno alla liberazione anche del fisico costretto sul letto.
Jessie recupera sé stessa, e da quel momento si libera anche dei propri mostri personali, non ha più bisogno di giocare a nascondino con i suoi segreti inutilmente rimossi, e può quindi affrontare serenamente la realtà, che non le offre più ombre malefiche con sembianze note, ma semplicemente effetti ottici talora illusori, certo non mostri reali, ma semplicemente giochi di luce, di luce lunare.