Dettagli Recensione
Il regno della noia
Una tremenda tempesta seppellisce il Quèbec sotto una coltre di neve e ghiaccio.
Mentre qualcuno sfugge al vento gelido nel tepore di casa, tra biscotti al burro di arachidi e la stufa a legna, il capitano Gamache e’ convocato in una fattoria decadente al cospetto di un notaio, che lo informerà di essere stato nominato esecutore testamentario di una sconosciuta e stramba baronessa.
Tre sono le vicende principali che si intersecano nel romanzo, ma se la treccia è flaccida prima o poi si scioglie.
Salvo il salvabile e lo faccio con lo stesso spirito che avrebbe un imprenditore fallito di fronte all’ennesimo tragico bilancio consuntivo, tra le infinite voci purpuree ne stano giusto un paio in attivo.
L’incipit è veramente buono e la trama potenzialmente interessante, purtroppo lo sviluppo e’ misero, di mistery io non trovo nemmeno l’ombra in una giornata di nuvole.
Lungo e logorroico, acquoso e confusionario si perde in personaggi scialbi, chiacchieroni e privi di un marcato taglio psicologico.
Le mosse che districano la matassa si rivelano banali, ma carenza è ovunque. Capita spesso in queste serie che il protagonista sia il fulcro del racconto e sappia catalizzare l’attenzione a prescindere dalla trama. Ci si affeziona ad un detective per il suo carisma, il fascino, l’intelligenza, l’avvenenza o la simpatia… Questo Gamache – nel presente capitolo- e’ l’apoteosi del nulla, mai incontrato in decenni di gialli e thriller un soggetto cardine tanto trasparente.
Quindici euro, uno spaghetto senza sale e pure scondito.