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Tokyo soup
 
Tokyo soup 2020-02-05 11:17:41 Cecychan
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Cecychan Opinione inserita da Cecychan    05 Febbraio, 2020
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Ricerca di tradizioni

Ho letto questo libro in tre giorni. Non me lo aspettavo, ad essere onesta, data la durezza della narrazione che ben oltrepassa il limite della perversione.
Questo è il primo libro che leggo di Ryu Murakami e sinceramente ho evitato di cercare qualsiasi tipo di recensione “pre-lettura” per non crearmi pregiudizi che mi avrebbero sicuramente bloccato e spinto ad abbandonare il testo. In realtà mi hanno prestato questo libro perché, per motivi di studio, devo approfondire gli aspetti più oscuri del Giappone.
La narrazione si sviluppa nelle due notti prima dei festeggiamenti del Capodanno. Il nostro protagonista è Kenji che incontra un “gaijin” (straniero), l’americano Frank, per fargli conoscere le vie a luci rosse di Shinjuku, a Tokyo. Kenji permette ai turisti di sperimentare i locali in cui la prostituzione è un servizio che non viene concesso agli stranieri, ai non giapponesi. Frank fa subito insospettire Kenji: i suoi atteggiamenti sono a dir poco loschi e ambigui. Poi i sospetti del ragazzo giapponese diventano realtà: il sangue dirompe in tutta la sua vividezza. La descrizione dettagliata di atti efferati è sconvolgente, nauseante. Affermare che il romanzo sia pulp è quasi riduttivo. Ma è nella sua violenza che diviene davvero ipnotizzante. La lettura rapisce tanto che inevitabilmente, nonostante la brutalità, si desidera giungere all’ultima pagina. Forse ciò che stupisce davvero è la razionalità di Kenji che, lasciato libero per denunciare le efferatezze di cui è spettatore, suo malgrado, improvvisamente si paralizza e decide di non “abbandonare” quel turista americano; il nostro protagonista si spinge addirittura a passarvi una nottata intera in un edificio abbandonato. È qui che Frank tenta di “sviscerare” i suoi ricordi d’infanzia, di luoghi ormai troppo lontani. Kenji riesce addirittura a riposare: il sonno prende il sopravvento su freddo e paura. L’attesa dei 108 colpi che, secondo la tradizione buddista, segnano l’inizio del nuovo anno, si pone a conclusione di quelle nottate terrificanti.
Le continue riflessioni riguardanti il Giappone e quindi la modernità, la cultura del post seconda guerra mondiale, la trasformazione spietata della popolazione giapponese nel corso di pochi anni, le considerazioni sulla gioventù, la solitudine, i suicidi degli studenti, l’abbandono delle tradizioni...è questo che davvero ha destato il mio interesse e che, al di là delle macabre situazioni descritte perfettamente dallo scrittore, rendono questo libro un buonissimo “manuale” per apprendere quella parte del Paese del Sol Levante che è un po' tenuta all’oscuro.
Frank ricerca, proprio in quella tradizione buddista che è ormai sconosciuta ai giovani giapponesi, la pace dal suo “doppio”, autore di atrocità terribili. Solo abbandonando Kabuki-cho (la zona a luci rosse) per spostarsi nell’antico quartiere di Tsukiji, dove la modernità e la tecnologia tentano di prendere il sopravvento ma senza riuscirvi davvero, Frank riesce a salutare per sempre Kenji, il quale è ormai profondamente cambiato rispetto a quello che è stato prima di quelle esperienze traumatizzanti. La tradizione, sembra suggerirci l’autore, deve sopravvivere, perché è solo da lì che davvero è possibile smettere di vagare, senza meta, nella vita; è con il ritorno al passato che ci si può rialzare da qualsiasi evento destabilizzante. Di fronte alla ricerca degli antichi valori, degli usi e dei costumi che rendono il Giappone tanto affascinante e altrettanto inaccessibile, è concesso di trovar pace e serenità anche a coloro che sono “gaijin”.

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