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Léon René Octave Sadorski
Siamo a Parigi. È l’aprile del 1942, la Pasqua è ormai prossima. Quest’anno, però, i rumori, i sapori, le atmosfere della capitale francese hanno un sapore tutto diverso perché l’Occupazione tedesca è sempre più inarrestabile così come la paura dei bombardamenti inglesi, mixati ai traffici illegali, alle marchette, agli arresti arbitrari e la caccia serrata al terrorista o all’ebreo di turno che sono ormai divenuti una costante. A regnare sovrana è la paura. Di chi fidarsi? Chi è amico e chi è nemico? In questo scenario, Léon René Octave Sadorski, arruolato volontario nel 1917, decorato con la medaglia al valor militare, poliziotto esperto, capo della squadra di pubblica sicurezza, leale servitore del Maresciallo, dello Stato francese, felicemente coniugato da sedici anni con Yvette, donna dal gran temperamento sessuale che ben conosce le sue abitudini, adempie al suo dovere di caccia all’ebreo e/o alla spia di turno per volere dei suoi superiori e dei sempre più pressanti nazisti lasciandosi soltanto sporadicamente andare a qualche favore in cambio di un sempre più scarseggiante denaro.
È sicuro di sé, Léon. Sicuro e certo delle sue azioni e mosse. In qualità di ispettore di polizia antisemita e anticomunismo non rinuncia a quei piccoli privilegi che il suo ruolo e l’autorità gli conferiscono. È un uomo di indole egoista, dai tratti meschini e con ben pochi scrupoli, concessi, come anzidetto, esclusivamente in cambio di un proprio tornaconto personale. Spedire o non spedire un ebreo in un campo di concentramento è per lui cosa di poco conto. Gli è totalmente indifferente.
«L’indomani, 2 aprile, alle nove in punto, Sadorski si presenta all’ufficio n. 94, al terzo piano della questura dove si trovano gli ufficiali di collegamento della Gestapo. Ha dormito male, a causa dell’allarme aereo notturno. Stavolta le bombe della RAF sono cadute lontano, in Seine-et-Oise. Nessuna ha colpito la capitale né la sua periferia.»
Ma la ruota prima o poi gira per tutti. Ed è così anche per il nostro protagonista che, chiamato negli uffici della Gestapo, apprende la triste novella.
«Il capitano vi avverte che partirete per un viaggio di quattordici giorni. Vi chiede dunque di recarvi al più presto al vostro domicilio, dove prenderete la biancheria di ricambio per questo lasso di tempo. […] Nein, andrà a prenderli l’interprete! A partire da questo momento, signor Sadorski, non dovete più avere nessun rapporto con nessuna persona dell’amministrazione. Siete testimone di un caso, desideriamo interrogarvi come siete. Vostra moglie è al corrente del lavoro che svolgete nella vostra Sezione delle Informazioni generali? […] Sadorski impallidisce. Da quelle parole capisce che i tedeschi lo hanno appena arrestato. Il capitano lo squadra con un’espressione che non ammette replica. Notat scorta Sadorski in corridoio; i due uomini scendono le scale, dove incrociano il segretario Beavois. Impossibile parlare perché l’interprete tira Sadorski per il braccio affinché si sbrighi. L’altro li segue con gli occhi mostrando un’espressione perplessa. Nel cortile l’autista di Voss aspetta fumando accanto all’automobile messa a disposizione dell’Hauptsturmfuher dall’amministrazione francese. Notat e il prigioniero si sistemano sul sedile posteriore.»
Non è finzione, non è uno scherzo. Sadorski è in arresto, il treno per Berlino lo attende. Il viaggio che avrà luogo lo vedrà accompagnato dal commissario Charles Louisille, suo ex capo al comando della Sezione speciale delle Ricerche, che ora si chiama la III sezione. Nel gennaio del 1941 Louisille è stato nominato alla testa della Buoncostume, è diventato commissario principale nel mese di marzo, poi, esonerato dalle sue funzioni, è stato collocato a riposo d’ufficio in autunno. La consapevolezza di non essere soltanto testimoni ma di essere in stato di arresto giunge proprio durante il tragitto, al proferire di nomi di uomini e donne su cui gli stessi hanno indagato e all’esser scortati presso i bagni. Ad attenderli nella capitale tedesca, la galera.
Come uscire da questa situazione? Come cavarsela? Léon, di origini materne alsaziane, decide, all’almeno al principio, di far finta di non comprendere la lingua tedesca e nei giorni che si susseguono diventa sempre più conscio del fatto che l’unico modo che ha per salvarsi è l’astuzia. Soltanto così potrà forse avere qualche speranza di tornare, prima o poi, a casa sano e salvo. E chissà cosa lo aspetterà, in caso, al suo ritorno.
Romain Slocombe, attraverso uno stile narrativo rapido e veloce, si propone al grande pubblico con un thriller che ben mixa finzione e realtà e che, nello scorrere delle vicende, riesce a ricostruire uno spaccato storico di gran interesse. Il risultato è quello di un noir piscologico in pieno stile francese che è caratterizzato da un ritmo narrativo dinamico, ricco di colpi di scena, coinvolgente e inaspettato.
Protagonista dell’opera è un antieroe che sa farsi amare e odiare, un uomo che non ha scrupoli e che è disposto a tutto pur di arrivare ai propri obiettivi.
La lettura è coinvolgente, intrigante e si fa semplicemente divorare. Adatto tanto agli amanti del genere che non.