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Postquam XXIV venti flaverint, nihil iam erit
L’istante presente di Guillaume Musso si snoda dalle paure dell’infanzia (“La storia della nostra vita è la storia delle nostre paure”, Pablo De Santis) attraverso eventi pazzeschi che sfidano le leggi del tempo (“Ma io ero dentro la realtà o dentro la quarta dimensione?”) sino a un epilogo sorprendente, nel quale ogni stranezza trova una collocazione razionale.
Arthur riceve in eredità un faro sul quale aleggia la maledizione che si è già abbattuta sul nonno Sullivan (“Due uomini risucchiati dentro le viscere del faro, colpiti… dalla maledizione che incombeva sul luogo”). La curiosità porta Arthur a trasgredire la regola che già Barbablu diede alla moglie: non aprire quella porta! La disubbidienza porta con sé un vortice di conseguenze incredibili e la realizzazione della maledizione: vivere 24 anni in soli 24 giorni, con continue scomparse e ricomparse nella vita reale (“Ero scomparso nella mia vita per più di un anno!”).
In questo romanzo ho ritrovato il Musso degli inizi: uno scrittore che combina i segreti del fluire del tempo con vicende esistenziali in sovrimpressione su tonalità romance e mistery.
Giudizio finale – citazione: “In ciascuna persona ci sono due individui: quello vero è l’altro” (Jorge Luis Borges), citato in uno dei capitoli finali.
Bruno Elpis