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Pensavo fosse un thriller, invece era un fiordo
Capita a tutti , prima o poi, di intraprende la lettura di un presunto thriller e ritrovarsi un fiordo tra le dita.
Trattasi, nello specifico, del grande fiordo di Siglufjorour e l’aspro, bel paesaggio islandese e’ cio’ che emerge da questo giallo insipido. Non orrendo, ma tantomeno di valore salvo qualche guizzo di vitalita’.
Gli ammazzati ci sono, o almeno parrebbe. L’autore effettivamente sembra poco convinto anche di quello. Ma sono morti, almeno, mi chiedo io?
Timida anche la stesura dei personaggi, poco incisivi, indecisi anche loro sull’essere o non essere, questo e’ il problema.
Allora vedi un po’ che e’ meglio pensare al fiordo, che poi in questi giorni ho cosi’ voglia di nord Europa, concludo io in un eccesso di positività.
Il vento e la neve sono incessanti nel romanzo, mulinelli ghiacciati alzano mischiandoli fiocchi vecchi e freschi , la spiaggia sassosa e la piccola pescheria nel paesello isolato dalla valanga sono un cortometraggio gradito.
Quasi dimenticavo di soffermarmi sull’aspetto passionale, che in un buon thriller ormai e’ come il sale grosso nell’acqua della pasta. Immancabile. Ma se il sale insaporisce, qui niente, pure la tresca adultera e’ piu’ insipida del miglio con cui nutrirei il canarino che non ho.
Se vi interessano i fiordi, leggetelo.
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