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Case di vetro
 
Case di vetro 2019-10-17 11:25:50 Mian88
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Mian88 Opinione inserita da Mian88    17 Ottobre, 2019
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Moralità

«A volte però il senso di sicurezza è solo un’illusione. Ciò che a prima vista ci protegge, alla lunga si rivela una prigione.»

Siamo in un tribunale. Al banco dei testimoni è stato chiamato a deporre Armand Gamache, commissario della Sûreté du Québec, uomo di gran rettitudine che crede nella legge ma che prima di tutto risponde alla propria morale, alla propria coscienza. La misteriosa apparizione di un individuo è ciò che rompe gli equilibri nonché il primo tassello di un particolare puzzle che viene introdotto partendo dalla sua conclusione (e arrivando al suo principio) dall’autrice. Costui, dall’immobilità protratta e le forme quasi confuse a causa di un eclettico abbigliamento, turba la naturale calma del luogo e degli abitanti a causa del suo inquietante atteggiamento. Passano oltre quarantotto ore e questo persiste a non mutare posizione, a non spostarsi e ad osservare. Ma chi? Che questo sia davvero un cobrador? Un delitto efferato, la necessità di risolvere non solo questo delitto ma anche un crimine superiore. Le domande che si susseguono: perché Armand non ha fatto niente? Perché dopo quella chiacchierata iniziale si è limitato all’osservazione?

«Tanto così, penso Gamache. Ma lui sapeva che molti incidenti succedono quando sei ormai in vista di casa.»

L’opera proposta da Louise Penny è intrisa di tutti quei principi etici e culturali canadesi e per questo, prima di essere letta, richiede di essere contestualizzata. Il portavoce delle vicende è infatti colui che maggiormente è espressione di questa profondità che si manifesta mediante una prima immobilità che si trasforma in un epilogo che non lascia spazio a trionfi eclatanti, ma che anzi, resta sull’ordinarietà di un personaggio che non cerca fama o lode bensì giustizia essendo mosso da un fine superiore.
A far da cornice alle vicende si sommano uno stile narrativo piacevole seppur non particolarmente ricercato e una serie di ambientazioni rievocative. Il ritmo purtroppo è lento, l’attesa tanta, troppa. Il lettore tende a stancarsi, a sfiancarsi. I colpi di scena non mancano ma sono talmente dilatati da far perdere di concentrazione e di pathos. L’epilogo è concreto ma privo di quel quid in più tale da sorprendere, tende a cadere nello scontato.
In conclusione, una prova che convince soltanto in parte, prevalentemente per l’aspetto contenutivo ma che non riesce a conquistare completamente chi legge.

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14 Gennaio, 2020
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Ad attrarmi, nella saga del villaggio canadese in cui convergono o da cui si snodano tutti i fili della narrazione della Penny, è proprio la lentezza che esaspera qualche lettore. Il plot è sempre ben costruito ma non è mai fine a se stesso. La scrittrice si sforza di coinvolgere piuttosto sul tema costante dell'ambiguità, se non addirittura dell'ambivalenza di ogni esperienza (si pensi a Clara e Peter) . Anche la "giustizia" non è un concetto perentorio, solo la responsabilità, forse, lo è. La "finezza" di Gamache consiste proprio nel percepire le sfaccettature infinite delle persone che l'autrice cerca di presentarci come tali, piuttosto che come personaggi fissati in un ruolo. Inoltre, nel prendersi il tempo di contestualizzare le sue storie ci parla del suo paese e della sua storia. Per quel che mi riguarda apprezzo molto anche questa opportunità e in generale la lettura dei romanzi della Penny.
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